L'arte di capovolgere i sentimenti

La gelosia ormai è demodé. La felicità non è un diritto. E l'invidia non è detto che sia un male...

Pordenone - Sono i mattoncini mobili del carattere. Sono, raccontano gli psicologi, più duraturi delle emozioni ma meno consistenti delle passioni. Seguono costellazioni fisse ma cambiano più di correnti e mulinelli in mare. Si parla di sentimenti, materia appunto da psicologi, ma anche da sociologi e politici. E naturalmente da narratori. Una delle iniziative più interessanti del festival Pordenonelegge è la serie di letture «Mappa dei sentimenti». Quest'anno sono fissati otto incontri con otto scrittori, otto racconti originali presentati davanti alla platea, otto nuances sentimentali.

Ma molto poco ingenue, a quanto pare. Valeria Parrella, che si occupa dell'Amore, mette subito le cose in chiaro: «Passatemi la metonimia: ho parlato di sesso. Ho scritto un racconto su una cinquantenne che vuole concedersi un'avventura, solo un'avventura. E ci riesce, e le va bene così». E dell'amore romantico che dai poeti provenzali ai Baci Perugina ha riempito il cosmo di batticuori, paradisi e tragedie, che ne è? «Anche il rapporto fisico è un universale», precisa la scrittrice napoletana, «anche il non voler sottilizzare su cosa sia una scopata è un atteggiamento universale».

Per contiguità chiediamo a Rossella Milone che ne è della Gelosia in un'epoca di relazioni «liquide» e in cui alcuni, come l'economista Jacques Attali, teorizzano il cosiddetto «poliamore». È il momento non solo della «fine della Storia», ma anche della «fine della gelosia»? «Come sentimento furioso, accecante, la gelosia mi sembra decisamente demodé », conferma la Milone. «Ormai si tratta più spesso di una gelosia liquida, appunto, leggera, che esonda nei rapporti, senza che chi la prova si accorga di viverla. Ho voluto raccontare di una donna che non comprende il rapporto di amicizia tra il suo futuro marito e la sua amica donna. La gelosia ha molte facce. La maggior parte inconsapevoli».

E che ne è dell'Amicizia? Il «tacito contratto tra due persone sensibili e virtuose» (definizione celebre di Voltaire) secondo Laura Pugno ha uno svantaggio. «È un luogo di conflitti taciti. Anche perché non c'è un protocollo che ne sancisca la fine. Quando perdi un amico non c'è una vera e propria elaborazione del lutto». L'autrice romana ha scritto di un'amicizia tra adolescenti che si perdono, e al momento di ritrovarsi si accorgono che del loro rapporto è rimasto soltanto l'involucro. Solo forma, niente anima. «Finché uno dei protagonisti muore e l'altro si trova a pensare che qualcosa è andato a posto». Paradosso? Certo che sì.

Nel solco dei sentimenti che si svelano altro da ciò che, tradizionalmente, sembrano, c'è anche il racconto di Michele Mari dedicato all'Invidia. «Non posso dirne nulla. È un racconto a chiave, che ha il suo senso solo nelle ultime righe. Dico solo che l'invidia non è per forza un male. È una forma di ammirazione, in fondo. Per invidiare qualcuno devi riconoscergli delle qualità».

Ugualmente paradossale la posizione di Antonio Pascale sulla Felicità. Da quella tensione etica nient'affatto comoda che era nella cultura antica, la felicità si è via via trasformata in un diritto, per esempio nella Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti, del 1776. E poi, ovviamente, in euforia distillata e distribuita dai claim della pubblicità. Ma «essere felici è anche sentirsi parte di un progetto collettivo», racconta Pascale. «È una tensione collettiva verso qualcosa che deve per forza comprendere più persone. Il mio non è un discorso che sfiora un sentimento comunista» precisa l'autore, «la mia conclusione è che non abbiamo nessun diritto alla felicità, semmai abbiamo diritto all'inquietudine. Che conduce anche alla ricerca, alla conoscenza».

In tema Inquietudine c'è il racconto di Marcello Fois. Il tema si presta, secondo lo scrittore sardo, a precise considerazioni mediatiche: «Ormai trovi più inquietudine, effetto, costruzione drammatica nei telegiornali che nei romanzi. Solo che un telegiornale così è brutto. E la cosa peggiore è che la letteratura, che dovrebbe invece seminare inquietudine, è diventata una ricerca ruffiana. Quando leggo un libro con cui mi trovo d'accordo mi preoccupo» conclude.

Tullio Avoledo, che non a caso a Pordenone presenta un racconto sull'Odio, ci butta il carico: «In giro riesco a trovare sempre meno amore, ma anche sempre meno odio. Un po' più di odio sarebbe meraviglioso, invece. Bisogna riportarlo nella politica, nella letteratura. Sono nel mezzo di un evento letterario e nessuno parla male degli altri in pubblico. È uno scandalo. L'odio va rivalutato». E riguardo il suo racconto Avoledo precisa: «Immagino che negli anni '20 uno scienziato inventi un motore ad odio. In modo che, nel 2014, finalmente, tutto funziona ad odio». Ma fuori dalla provocazione nero-fiction Avoledo precisa: «L'odio è pur sempre un sentimento, comporta un certo livello di empatia. Si può tranquillamente distruggere il mondo senza provare odio».

E usciamo «a riveder le stelle» con Giulio Mozzi. Scrive di una virtù teologale: la Speranza. «Per me - dice - non è un sentimento. È qualcosa su cui si costruisce un'idea di mondo, di universo, di cosmo. Ed è, fondamentalmente, una cosa: immaginazione.

Il tentativo del mio testo, anche comico - aggiunge Mozzi - è cercare di capire il rapporto tra due possibili immaginari. Uno in cui gli umani siano strumenti per la volontà di potenza delle Proteine. E uno in cui è un creatore ad aver inventato il mondo, e la storia».

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