L'eterno conflitto tra reti e gerachie per il potere globale

Niall Ferguson ne "La Piazza e la Torre" parla del confronto come motore del progresso collettivo, anche a costo di una continua conflittualità

L'eterno conflitto tra reti e gerachie per il potere globale

Le società complesse hanno, nel corso della storia, seguito sostanzialmente due direttrici: la tendenza a strutturare una gerarchia precisa sul fronte organizzativo, politico e sociale e la creazione di reti complesse volte a trasmettere idee, conoscenze, rapporti umani. Gerarchia e dimensione collettiva hanno spesso proceduto all'unisono, nella politica come nell'economia, sono sorte una in bilanciamento dell'altra o si sono opposte. L'età imperiale romana è un caso del primo tipo; l'Italia dei comuni medievali del secondo, la Francia dell'era rivoluzionaria e napoleonica del terzo. Gerarchie e reti come motore d'azione sociale sono studiate dallo storico britannico Niall Ferguson nel saggio La piazza e la torre, che prende il nome dalla struttura urbanistica di Piazza del Campo a Siena, simbolo della "rete" su cui si proietta l'ombra della Torre del Mangia, simbolo della gerarchia.

Ferguson interpreta la storia degli ultimi millenni in Occidente come un'alternanza continua tra cicli di predominio sostanziale del modello gerarchico di società e Stato (dal Medioevo alla fase degli imperialismi) e periodi in cui sono le reti a dare il là a nuovi modelli (i Comuni, la Francia rivoluzionaria, l'età dei moti ottocenteschi, a suo modo l'era di Internet). La sua è una teoria della complessità, che analizza il potere e gli sviluppi sociali come prodotti derivati delle mutazioni sociali, politiche e culturali, e la società in sé come frutto di interazioni relazionali. Essa insegna molto anche della lettura del mondo di oggi, in cui i principi dell'agorà e quelli verticistici sono in perenne interazione. Non necessariamente conflittuale.

Che cos'è, in fin dei conti, la pandemia di Covid-19 se non un virus diffusosi grazie all'espansione capillare delle reti di interconnessione, dei sistemi sanitari centralizzati e delle interazioni umane e la cui conoscenza è spesso degenerata in infodemia per errori e abusi commessi sulle reti digitalizzate? Cos'è stata la risposta imposta da molti governi se non la riaffermazione della gerarchia e dell'autorità come strumento d'ordine nella fase di emergenza? Allargando il campo, non possiamo forse vedere nella storia del mondo globalizzato un perenne confronto tra il principio della piazza e quello della torre?

Risposte emergenziali sono state imposte in nome della lotta al terrorismo; le reti digitali narrate dai guru del web come strumento di emancipazione collettiva sono finite egemonizzate da pochi potentati estrattivi, da regimi autoritari intenti a governarne i dati, da Stati desiderosi di inserirli nel quadro del loro progetto per l'interesse nazionale (sono questi due i casi di Cina e Stati Uniti); la governance globale dell'era presente è caratterizzata dalla massima concentrazione di retorica democratica nella storia a cui va sostanzialmente associandosi di pari passo una riduzione sostanziale di svariate sovranità statuale. In diversi Paesi occidentali la crisi della democrazia, ovvero la comparsa di crepe sulla piazza, a causa dell'inaridimento del dibattito politico ha prodotto la rivolta populista e l'illusione di una ristrutturazione della torre anche nel nostro contesto. Leader come Vladimir Putin, Xi Jinping e Papa Francesco sfruttano per i loro progetti politici il controllo sulla gerarchia e la valorizzazione del controllo delle reti di comunicazione e influenza delle istituzioni da loro presiedute.

La società del digitale e dell'informatica, in questo contesto, diffonde un mito egualitario che va di pari passo con il problema della ripresa della disuguaglianza: "quando le reti e i mercati si allineano, come sta avvenendo ai giorni nostri, la disuguaglianza riesplode, perché i guadagni prodotti dalle reti finiscono in misura preponderante nelle mani di chi le possiede", nota con lucidità Ferguson. La folle corsa delle borse mondiali nell'era del Covid segnala l'attualità di quanto sottolineato dallo storico britannico, che nell'era presente ravvisa un'accelerazione della capacità delle reti di creare nuovi sistemi gerarchici data dall'abbattimento di diverse barriere comunicative e di contatto. E oggi come in passato, le catastrofi sanitarie testimoniano la fragilità del sistema e le sue aporie interne, le sue fragilità e le sue contraddizioni: un complesso di relazioni sociali ed economiche e un apparato politico si trova messo in discussione quando è messa alla prova la sua capacità di preservare la vita dei cittadini che al suo interno si muovono.

Per la nostra società, questo significa che il Covid ha posto fine definitivamente al beato positivismo circa i destini positivi inevitabili della globalizzazione e delle libertà di movimento e degli interscambi ad essa associati, rilevando un sottobosco di ineguaglianza e fragilità.

Ma la dialettica continua: e tra reti sempre più ampie e avanzate tecnologicamente e poteri gerarchici rilanciati dalla pandemia, in una sfida che prosegue giorno dopo giorno, è ancora duro dire chi, in prospettiva, dopo il Covid-19 avrà la meglio.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica