Il discorso sulle radici cristiane dell'Europa è troppo spesso oggetto di opposte - e fuorvianti - strumentalizzazioni e mistificazioni. Da un lato, esso è stigmatizzato e criticato da un europeismo lirico, neo-illuminista, che pretende di trovare nell'autolegittimazione dell'idea, fideistica, di unità europea un fine in sé, pretendendo di costruire nel mondo contemporaneo un'istituzione secolare slegata da tutto ciò che l'Europa ha rappresentato e rappresenta tuttora per la civiltà umana. Dalla parte opposta, l'idea dell'Europa cristiana è troppo spesso vittima degli apologeti dell'occidentalismo più sfrenato, che non mancano di identificare le radici profonde del Vecchi Continente in senso esclusivo o, addirittura, fortemente connotato politicamente.
Entrambi gli approcci scontano un forte limite concettuale, un legame di fondo con le analoghe trattazioni proprie del discorso politico statunitense la cui forma mentis ha pervaso oramai, profondamente, la cultura politica europea. E si distanziano profondamente dal serio dibattito sulle radici cristiane della civiltà del Vecchio Continente che è stato inaugurato negli ultimi decenni da figure profondamente influenti sul piano religioso, sociale, culturale, umano e politico come San Giovanni Paolo II.
Karol Wojtyla, primo pontefice non italiano dopo oltre quattro secoli, figlio della Polonia, parte di un'area d'Europa interessata dalle duplici mire espansioniste della Germania nazista e dell'Unione Sovietica nella prima metà del Novecento, uomo di profonda cultura colpito dalla necessità di rendere nuovamente il cattolicesimo forza vivificatrice per l'Europa, ha durante tutto il suo pontificato testimoniato la necessità per il Vecchio Continente e i suoi popoli di abbeverarsi alla fonte di una tradizione plurisecolare. Una tradizione che, inevitabilmente, non riguarda solo ed esclusivamente la comunità praticante ma coinvolge la vita quotidiana, gli approcci ala vita, la società, l'ordine morale. Nel contesto di un pluralismo culturale che al cattolicesimo ha, nei secoli, aggiunto l'ortodossia e le varie forme di protestantesimo alla variegata rosa del cristianesimo europeo.
Il libro di Giovanni Paolo II rilanciato da Benedetto XVI
In uno dei testi pubblicati per riflettere sul futuro dell'Europa e della cristianità, Giovanni Paolo II ha testimoniato la sua personale visione sulla natura con cui ha inteso e interpretato le radici cristiane: come il richiamo a un orizzonte valoriale in grado di riportare l'Europa al progresso materiale e morale dopo il secolo delle idee assassine, il Novecento che ha portato infiniti lutti ai Paesi del continente e messo sotto il fuoco delle invasioni e delle occupazioni la Polonia, "Cristo d'Europa" per eccellenza esposta alle mire e agli appetiti stranieri. Memoria e identità, il saggio in questione, è una riflessione profonda sul senso di dirsi cristiani nell'Europa del secondo dopoguerra, sulla necessità di una direzione morale di marcia e sulla natura più profonda di cosa voglia dire l'adesione alla Chiesa nei tempi segnati dal declino delle ideologie e dall'individualizzazione di massa.
Giovanni Paolo II riflette sui limiti della ragione umana e sul senso profondo del bene e del male: le tragedie del Novecento non vanno viste, in tal senso, come l'eclissi definitiva dell'Europa ma come un'occasione in cui forme di coraggio e profonda umanità hanno potuto manifestarsi. "Il modo in cui il male cresce e si sviluppa sul terreno sano del bene costituisce un mistero. Mistero è anche quella parte di bene che il male non è riuscito a distruggere e che si propaga nonostante il male, avanzando sullo stesso terreno", nota nell'introduzione. L'Europa cristiana non è stata messa a terra dal proliferare delle ideologie totalitarie. La persecuzione nazista non ha impedito la rivolta dei vescovi contro le azioni e i programmi di eutanasia; non ha impedito la manifestazione dei fulgidi esempi di San Massimiliano Kolbe, Salvo d'Acquisto, Hans e Sophie Scholl; la persecuzione comunista non ha distrutto la Chiesa polacca o l'identità profonda del suo popolo e della nazione ungherese.
Tutte queste manifestazioni dimostrano la presenza di un retroterra valoriale, di un richiamo identitario e profondo che nemmeno le tragedie della storia non hanno potuto spezzare. "Non si tagliano le radici dalle quali si è nati”, disse Giovanni Paolo II a poco più di un anno dalla morte, nell'Angelus del 20 giugno 2004. Pronunciato a poche settimane dalla conclusione delle discussioni sul progetto di Costituzione europea che avevano respinto l'inserimento delle fondamenta cristiane del Vecchio Continente nel progetto-cardine dell'Europa. Come se una lunga storia durata quasi due millenni a cui fanno riferimento l'etica e la morale politica, civile e sociale che plasmano tuttora, seppure con varie modifiche, i contesti nazionali odierni non fosse mai esistita.
La preoccupazione di Giovanni Paolo II, che in Memoria e identità si percepisce chiaramente, è non considerare la critica e la dura condanna a nazionalsocialismo e comunismo come un'automatica benedizione a una terza, diversa ma non meno corrosiva forza che rischiava, come da lui intuito in anticipo, di corrodere l'essenza profonda della nostra cultura europea e di trasformarsi in nuovo ordinatore collettivo: l'ideologia di mercato, il neoliberismo divenuto pian piano mainstream politico economico negli anni precedenti la sua ascesa al pontificato. Utilitarismo, individualismo e mercificazione negano l'animo spirituale dell'uomo valorizzato dalla Chiesa, la natura dell'individuo come parte inscindibile dalla società e il ruolo delle collettività come agenti della volontà di Dio e della Provvidenza sostenuto dalla dottrina cattolica. La battaglia di Giovanni Paolo II contro le ideologie deviate e gli estremismi del capitalismo non è stata meno strenua di quella condotta contro le forze totalitarie dell'inizio del secolo. Il nazismo e il comunismo prima, il neoliberismo poi, con la loro pretesa di costruire la realizzazione totale della società attraverso progetti materialistici e la loro natura totalizzante in campo sociale hanno rappresentato in tal senso minacce altrettanto gravi alla difesa dell'identità crisitana d'Europa. Una visione che ha visto Giovanni Paolo II concorde con lo stratega del suo pontificato e successore al trono di Pietro, Benedetto XVI.
San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono stati infatti gli ultimi profondi interpreti della cultura europea e delle lezioni della civiltà millenaria del Vecchio Continente. Non è un caso che Benedetto XVI abbia con coraggio rilanciato il messaggio di Giovanni Paolo II costruendo le fondamenta del nuovo umanesimo come dottrina religiosa, sociale ed economica capace di interpretare con originalità la lettura dei segni dei tempi operata dalla Chiesa cattolica. Pronta ad inserirsi in continuità con la storia millenaria d'Europa come forza vivificatrice e sorgente di speranza per la sua ricostruzione morale. Visitando il lager di Auschwitz nel 2006 Ratzinger sintetizzò in poche frasi cosa volesse dire aver chiara la consapevolezza del peso delle radici cristiane d'Europa: "Dietro queste lapidi", disse, "si cela il destino di innumerevoli esseri umani. Essi scuotono la nostra memoria, scuotono il nostro cuore. Non vogliono provocare in noi l'odio: ci dimostrano anzi quanto sia terribile l'opera dell'odio. Vogliono portare la ragione a riconoscere il male come male e a rifiutarlo; vogliono suscitare in noi il coraggio del bene, della resistenza contro il male. Vogliono portarci a quei sentimenti che si esprimono nelle parole che Sofocle mette sulle labbra di Antigone di fronte all'orrore che la circonda: "Sono qui non per odiare insieme, ma per insieme amare".
Con la sua profondità teologica e morale, Benedetto XVI diede un'interpretazione del connubio tra memoria e identità, da rinsaldare anche di fronte alla presa di consapevolezza sui grandi orrori della storia, che Giovanni Paolo II aveva individuato come cruciale per capire l'essenza delle radici cristiane d'Europa.
L'Europa non ha compreso il messaggio
L'Unione Europea, organizzazione figlia di una commistione grezza tra un sottofondo di illuminismo francese e una base dominante di economicismo neoliberale, non ha capito questo messaggio. In cui spicca l’assenza di qualsiasi riferimento alle radici cristiane dell’Europa, assenti nel progetto di Costituzione europea prima e nello sviluppo del Trattato di Lisbona poi. Una mancanza che non ha solo valore ideologico e religioso, ma testimonia l’assenza di prospettive di un’Unione che è corpo estraneo rispetto alla tradizione europea. In cui continuità Giovanni Paolo II ha ricordato che ogni progetto che voglia rappresentare l'Europa deve posizionarsi. Confondere tali questioni con un mero afflato identitario sarebbe limitante: ogni progetto politico necessita di una doverosa spinta valoriale per performare al meglio.
Gli Stati Uniti non hanno timore di rifarsi a una tradizione che attraverso i Padri Fondatori li narra come “democrazia di Dio”; l'attuale governo di Recep Tayyip Erdogan in Turchia coniuga nazionalismo turco, turanesimo e identitarismo islamico; in Cina Xi Jinping non lesina i riferimenti alla continuità millenaria del Paese da Confucio (e ancora prima) a oggi. La consapevolezza della memoria storica e un'autocoscienza della propria identità, da intendersi in termini non esclusivi nei confronti delle altre culture presenti sull'agone globale, potrebbe solo fare bene nell'aiutare l'Europa a capire stessa. I confini dell'Europa, in fin dei conti, sono quelli tracciati dall'evangelizzazione avvenuta nei primi secoli dopo Cristo nelle sue varie forme.
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, suo continuatore, hanno letto la forza dei segnali della storia ribadendo una verità evidente. Negata da chi ritiene che l'Europa si possa costruire come prodotto di mercati e burocrazie anonime.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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