"Il mio Limonov sullo schermo? C’è un progetto, ci sto pensando"

Lo scrittore e regista è il testimonial d’eccezione del docufilm "Passione Cinema" sui rapporti fra Italia e Francia

"Il mio Limonov sullo schermo? C’è un progetto, ci sto pensando"

Venezia. La corsa nei corridoi del Louvre che inizia in Bande à part di Godard e finisce quarant'anni dopo in The Dreamers di Bernardo Bertolucci. Nanni Moretti, che ha persino più ammiratori fra Cannes e Parigi che fra Venezia e Roma. Mastroianni e la Deneuve o la Bellucci e Cassel. Tutti i registi francesi ossessionati da Fellini e i registi italiani ossessionati da Truffaut. O Louis Garrel: che il primo film di cui ha un ricordo è Il sorpasso, una gara di bravura fra Trintignant e Gassman, un francese e un italiano, due mondi che rivaleggiano in tutto tranne nel cinema, e due cinematografie che da sempre si sono attratte, influenzate e amate. Quanto e in che modo lo racconta con originalità e intelligenza attraverso sequenze indimenticabili e testimonianze di attori e registi - il documentario Passione Cinema, passato l'altra sera a Venezia in occasione del «Focus on France». Prodotto da Enrico Castaldi («L'obiettivo è ricordare al pubblico, che a volte se ne dimentica, quanto il cinema italiano e francese sono innamorati a vicenda, e hanno dato vita a opere straordinarie della storia del cinema, per rilanciare le co-produzioni cinematografiche fra i due Paesi») e diretto da Francesco Ranieri Martinotti («Ho provato a raccontare nella maniera più sincera possibile quello che attori e registi provano per il cinema dell'altro Paese, raccontandolo non dal punto di vista storico o critico, ma emotivo»), Passione Cinema ha avuto qui al Lido un testimonial di eccezione, lo scrittore e regista Emmanuel Carrère.


Carrère, Lei ha un rapporto strettissimo con il cinema, da sempre.


«Sì, ho sempre avuto una grande attrazione, fin da giovane. Ho cominciato tra gli anni '70 e '80 scrivendo recensioni di film per Positif, una rivista molto importante all'epoca, che aveva l'ambizione di rivaleggiare con gli storici Cahiers du cinéma, ma purtroppo senza una grande diffusione; e ho scritto di cinema anche per un altro magazine, Télérama. Poi nell'82 ho pubblicato una monografia sul regista Werner Herzog, che è il mio primo libro. E mi è capitato anche di lavorare a soggetti e sceneggiature di alcune serie tv negli anni '90. E dopo, sì, sono anche diventato regista. Di fatto non ho mai smetto di interessarmi al cinema come spettatore, come giornalista e come scrittore».


Ha un forte legame anche con la Mostra di Venezia.


«Sì, nel 2003 presentai qui a Lido il mio primo film, Retour à Kotelnitch. E nel 2015 sono stato membro della giuria».


Oggi è qui come testimonial del documentario Passione Cinema. Qual è il cinema italiano che ama di più?


«L'elenco è lungo: i film di Fellini o quelli sperimentali di Marco Ferreri, i Nuovi mostri... La commedia all'italiana di quegli anni mi ha sempre attirato: Scola, Risi, Monicelli, Comencini...».


E quello francese?


«La Nouvelle Vague, da Truffaut a Claude Chabrol. Ecco Chabrol l'ho sempre amato: è un regista che ha fatto moltissimi film, alcuni bellissimi altri magari meno, ma per me tutti importanti. Cito Les biches, in italiano Le cerbiatte, una co-produzione Italia-Francia del '68 dove c'è una meravigliosa scena d'amore fra le due donne protagoniste, che ti coinvolge in modo incredibile, capace di dare vita a quell'emozione unica che è il cinema».


Da scrittore e regista: le differenze fra lavorare a un libro e a un film?


«Quando scrivi un libro hai tutta la libertà di abbandonarti a te stesso, non devi rendere conto di nulla a nessuno, e l'unica visione che conta è la tua. Quando giri un film invece hai a che fare con molte persone, è un lavoro collettivo, la visione è multipla. Psicologicamente è più impegnativo fare letteratura, più facile fare cinema...».


Molti dei suoi libri sono diventati film. Ne è sempre rimasto contento?


«Alcuni mi sono piaciuti, altri meno. Ma non dirò mai quali sì e quali no. Comunque, quando un regista lavora su un mio libro non mi aspetto mai una trasposizione fedele, didascalica: so benissimo, ed è giusto così, che si sia un'interpretazione. Semmai spero solo di essere ben tradito».


Il suo Limonov diventerà un film?


«Se le dicessi di sì, le farei fare uno scoop. Diciamo che c'è un progetto».

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