15 dicembre 1900. Il piroscafo Archtor, impegnato sulla consueta tratta che collega Philadelphia a Leith, è prossimo a raggiungere la Scozia quando dal ponte di comando, le vedette notano che il faro dell’isola maggiore delle Flannan, che spicca circa venti miglia a ovest dalle Ebridi Esterne, è inspiegabilmente spento. Un fatto grave, date le condizioni atmosferiche avverse della stagione, e dato il compito che ricopre chi custodisce quell’importante luce di segnalazione.
Sull’isolotto di Eilean Mòr, uno scoglio di roccia vulcanica di un centinaio di metri quadrati che si staglia nel bel mezzo dell’Atlantico, sono solo stormi di pulcinelle di mare, buffi uccelli che ricordano dei pinguini volanti, e tre uomini a guardia del faro; che ha preso funzione da appena un anno. Essi rispondono al nome di James Ducat, Thomas Marshall, e Donald MacArthur. Tutti impiegati della Northern Lighthouse Board, tutti descritti come uomini pacifici e ligi al lavoro; abituati - come la loro professione prevede - a trascorrere lunghi periodi d’isolamento; in attesa che giungano rifornimenti dalla terraferma, attraverso piccole imbarcazioni che scaricano, di volta in volta, cibo, materiale necessario o carburante per alimentare la luce del faro che si estende per un raggio di diciassette miglia. Per incontrarli, dargli anche solo una lettera o un penny, bisogna inerpicarsi per centinaia e centinaia di scalini, scavati nella scogliera viva che nei punti più alti raggiunge anche i 45 metri.
Il rifornimento per il faro delle Flannan è previsto prima di natale. Ma allora nessuno poteva immaginare che quei tre uomini, tra il 15 dicembre e il 16 dicembre, svaniranno letteralmente nel nulla.
Non appena la Archtor fa rientro al porto di Leith infatti - tre giorni dopo aver avvistato il faro spento - viene comunicato alle autorità costiere il possibile malfunzionamento. A causa del mal tempo altalenante, l’isola verrà raggiunta soltanto il 26 dicembre: quando la nave Hesperus, adibita al rifornimento, approda con ritardo, senza trovare nessuno ad attenderla sulle impervie scalinate. E senza ricevere alcuna risposta a suoi segnali acustici nella fase di avvicinamento all’isola. È qui che ha inizio il mistero del faro delle Flannan.
Il capitano della Hesperus James Harvie, di fronte a quella mancata accoglienza, prima si affida alla forza dei suoi polmoni, esibendosi in stridenti fischi per attirare l’attenzione dei guardiani, che potevano trovarsi all’esterno e non avevano risposto alla sirena; poi, per evitarsi la scalata, sebbene fosse sempre più preoccupato e non avesse scorto alcun movimento dal suo binocolo durante l'avvicinamento, spara un bengala di segnalazione. Nessuna risposta. Nessun segno di vita da parte dei guardiani del faro. Doveva essere accaduto qualcosa di grave.
Inerpicatosi sull'isola, scoprirà che non v'è più alcuna traccia dei tre uomini. Sul tavolo del cucinino, sono presenti i resti di un pasto servito. Una delle sedie è rovesciata a terra. Non sono presenti due dei tre cappotti che nel mese di dicembre avrebbe senza dubbio indossato un guardiano del faro che dovesse avventurarsi al di fuori della struttura. Lo stesso vale per due paia di stivali. L’orologio è fermo; e sul diario affidato al guardiano in seconda Marshall, qualcosa non torna. Secondo quanto annotato in maniera stringata e singolare - data la libertà nell’uso del lessico - tra il 12 e il 14 di dicembre una tempesta di una furia "mai vista” si è abbattuta sull'isola. Terrorizzando i guardiani che hanno tutti pregato per la propria salvezza. Del giorno 14 non viene annotato nulla, mentre il 15, quando la Archtor è prossima all'avvistamento del faro spento, in condizioni meteo sereno che promettono di farsi sfavorevoli, viene scritto: "Tempesta finita. Mare calmo. Dio è sopra ogni cosa". Le testimonianze dei marinai che avevano solcato quei mari negli stessi giorni sembrano non coincidere completamente.
L’ispezione sommaria condotta da Harvie e dal suo equipaggio, ce setacciano l’isola per trovare degli indizi, oltre l'inquietante sparizione dei tre uomini, nota alcuni danni alla struttura del faro. Il soprintendente inviato dalla compagnia nei giorni a seguire, Robert Muirhead, noterà ingenti danni all'approdo ovest; avanzando la tesi che uno dei tre guardiani abbia cercato di assicurare una "cassa contenente delle cime per l'attracco", mentre i suoi compagni, forse legati come contrappeso, lo tenevano da una posizione rialzata. Ciò che non tornerebbe, tuttavia, è il motivo per il quale uno dei tre fosse in maniche di camicia, e senza stivali, nel bel mezzo di una tempesta furiosa che avrebbe se non altro giustificato, dato la rigidità del regolamento, l’allontanamento di tutti e tre guardiani dal faro in contemporanea.
"Dopo un attento esame del luogo, delle ringhiere, delle funi, e quant'altro, e soppesando tutte le prove che ho avuto modo di ottenere, ritengo che la spiegazione più probabile riguardo la scomparsa degli uomini sia che erano scesi tutti nel pomeriggio di sabato 15 dicembre, in prossimità dell'attracco a Ovest, per assicurare la cassa con le cime di ormeggio, quando un'onda inaspettatamente grande ha travolto l'isola, spazzandoli via con forza inarrestabile". Un'ipotesi plausibile, se non si tiene conto del dato, non inconfutabile ma nemmeno trascurabile, che l'onda anomala più alta mai rilevata (prodotta da uno tsunami nel 1958) ha raggiunto l'altezza di 30,5 metri. Tre metri in meno dall’altezza dal livello del mare della cima di quell'insenatura che proteggeva gli uomini - anche se non si può giudicare quanti dalla posizione che mantenevano per tenere la cima di sicurezza cui era legato l'uomo in una giornata di tempo “sereno”.
Nonostante il rapporto ufficiale stilato l'8 gennaio del 1901 da Muirhead si concentrasse solo ed esclusivamente sull'ipotesi dell'onda anomala, alla voce "causa della morte" venne scritto: “sconosciuta, in circostanze misteriose”. Una conclusione che nel frattempo aveva scatenato le più inquietanti ipotesi e credenze sulla terraferma: dall’omicidio-suicidio, alle piste più spettrali e soprannaturali. Ad alimentarle, negli anni, il fatto che non venne mai ritrovata alcuna traccia dei corpi, né alcun resto o oggetto personale riconducibile a James Ducat, Thomas Marshall, e Donald MacArthur sulle coste dove portano le correnti. Allora, e per quelli che oramai contiamo come 120 anni dai fatti.
Il destino dei tre guardiani delle isole Flannan, salpati alla volta del faro più tenebroso di Scozia all'inizio del XX secolo, rimane avvolto nel mistero. Di quei tre uomini e di quel giorno, rimane solo una poesia di Wilfrid Wilson Gibson - che in un verso recita: “Anche se abbiamo cacciato in alto e in basso/ E cacciato ovunque/ Del destino dei tre uomini non abbiamo trovato traccia / Di qualsiasi tipo in qualsiasi luogo / Ma solo una porta socchiusa e un pasto intatto / E una sedia rovesciata”.
Sebbene altri invece raccontino, che durante i giorni trascorsi nel faro dell’Isola maggiore delle Flannan, alcune voci inquiete, nelle notti di tempesta, vengano ancora trasportate dal vento. Ma deve trattarsi di suggestioni. Fantasie, che un vecchio faro scozzese sa ben custodire.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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