Un narratore di talento ma con un solo capolavoro

Si spegne in autoesilio a Lisbona l'autore di Sostiene Pereira. Nato a Pisa il 24 settembre del 1943, era malato di cancro. Scrittore di successo, dalla critica ebbe più di quanto diede ai lettori. Aveva 68 anni. Il suo ultimo libro è Racconti con figure

Un narratore di talento  ma con un solo capolavoro

Antonio Tabucchi è stato uno dei protagonisti della letteratura italiana di questi ultimi decenni. Dopo un esordio in sordina, con Piazza d’Italia del 1975, e con Il piccolo naviglio, del 1978, libri ancora in qualche modo manieristici, dove il Tabucchi maggiore era solo in incubazione, il successo di pubblico arriverà con Notturno indiano, del 1984, e soprattutto con Sostiene Pereira, del 1994.

Sono due libri che accreditano le immagini che Tabucchi volle dare di sé: il viaggiatore e il difensore della causa della democrazia contro le involuzioni autoritarie. Il primo dei due romanzi è ambientato in India. Il protagonista, in cerca di un amico, compie di fatto un pellegrinaggio esemplare nella realtà indiana, da Bombay (oggi Mumbai), nel cui clima magmatico avviene l’incontro con una prostituta, a Madras (oggi Chennai), dove compare quella segreta e inquietante Società Teosofica fondata da Madame Blavatsky, per approdare a Goa, paradiso degli hippy la cui storia è legata intimamente alla colonizzazione portoghese. Si tratta di un libro di viaggi, in un certo senso pionieristico nell’orizzonte piuttosto ristretto della letteratura italiana, dove il romanzesco è una cornice che racchiude impressioni e sensazioni di chi, viaggiando, va alla ricerca di se stesso e del senso del mondo. Probabilmente, questo libro esile e raffinato, molto apprezzato in Francia, è l’opera migliore di Tabucchi.

Sostiene Pereira, ambientato in Portogallo nel 1943, con i suoi personaggi anch’essi emblematici, il giornalista Pereira e la sua lenta, progressiva presa di coscienza, il giovane Monteiro Rossi, con la sua passione politica, il dottor Cardoso, con le sue bizzarre teorizzazioni, è una riflessione sul rapporto tra libertà di stampa e potere autoritario che trovò subito consensi anche per ragioni extraletterarie. Ebbe un grande successo di pubblico e di critica, vinse il premio Campiello, ne fu tratto un film da Roberto Faenza con Marcello Mastroianni nel ruolo del protagonista. Nonostante questo, non si può dire che Tabucchi abbia espresso il meglio di sé nel romanzo. Il genere romanzo richiede una visione delle cose meno orientata ideologicamente e con maggiore apertura sull’aspetto multiforme, imprendibile della realtà. Tabucchi aveva la misura del prosatore e dell’autore di racconti.

Quando lessi Il filo dell’orizzonte, ambientato a Genova, confesso che feci fatica a trovarvi i colori, i sapori, gli odori della grande città portuale. Ed è difficile leggere come thriller un libro come La testa perduta di Damasceno Monteiro, che è una generosa denuncia del potere quando mostra una faccia violenta con cui copre se stesso e i propri delitti. Scritto direttamente in portoghese, Requiem è invece una cavalcata onirica tra personaggi veri e immaginari che finisce con l’incontro con Pessoa, lo scrittore che ha segnato non soltanto l’opera letteraria, ma anche la vita e il destino di Antonio Tabucchi.

Parlando di lui, si parla di un autore italiano il quale, per amore di un poeta portoghese che ha studiato, tradotto, divulgato secondo un’ottica personale, si è scelto una seconda patria: il Portogallo. In Portogallo sono ambientati i suoi romanzi maggiori, portoghese sembra quella vena di malinconia musicale che percorre la sua prosa.

Dopo anni di lontananza e di qualche sottintesa polemica, incontrai Tabucchi una sera a Parigi, a casa di amici. Inaspettatamente, quando uscimmo, mi propose di fare un tratto di strada insieme. Ricordo un dialogo aperto, franco, e un abbraccio finale, come se tante nostre divergenze valessero meno lì, nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés, dove contava il nostro comune amore per la letteratura, per i suoi luoghi, per la sua ambiguità e per la sua verità, connesse inscindibilmente.

L’ultimo libro che ho letto di lui è Racconti con figure, uscito da Sellerio l’anno scorso.

Sono brevi prose che hanno a che fare con la pittura e diversi pittori, e hanno una ripartizione squisitamente musicale, divisi tra «adagi», «andanti con brio» e «ariette». Il testamento, mi appare oggi, di un autore che ha dato il meglio di sé nella fedeltà alla scrittura, al sogno, al viaggio, dentro di sé e dentro la conoscenza.

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