Ora Tiziano Ferro ha imparato la lingua degli stadi

Per un musicista l'esibizione in uno stadio equivale al salto di un tuffatore dal trampolino più alto

Ora Tiziano Ferro ha imparato la lingua degli stadi

Non è mica così facile. Per un musicista l'esibizione in uno stadio equivale al salto di un tuffatore dal trampolino più alto: basta sbagliare un niente, inclinare appena più, o appena meno, il corpo e, splash!, il disastro è garantito. Perciò per il più sensibile e puntiglioso dei nostri cantautori (e Tiziano Ferro lo è a tutti gli effetti) il debutto dell'altra sera all'Olimpico a Torino è stata la prova del nove. In un concerto del genere, o la va oppure si spacca il «giocattolo» costruito in un anno di lavoro meticoloso. È andata. E molto bene. Non contano tanto gli effetti speciali, i voli a venti metri d'altezza, il «laser mapping» o le passeggiate su di un ponte mobile tre metri sopra il pubblico che si vedranno anche nelle prossime sette date che Live Nation ha messo in cartellone. Conta che dopo quindici anni Tiziano Ferro ha dimostrato di essere un tipo da stadio. Ha barcollato un po' durante l'iniziale Xdono ma poi è entrato nel ruolo con un convincente crescendo. Un punto di non ritorno.

Ora ha laurea di «entertainer» anche davanti a decine di migliaia di persone e, insomma, ha preso le misure per gestire una macchina implacabile come quella formata da 19 megaschermi, una platea per forza ancora dubbiosa, e una band che non perdona perché suona da maestro. E alla fine avreste dovuto vederlo, Tiziano Ferro, snocciolare le ultime canzoni con una naturalezza che gli resterà per sempre. Prova superata. E conferma che, con talento e volontà, si arriva ovunque.

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