Con le pinne, fucile ed occhiali a caccia dell’Italia del boom

Prendete una Versilia straripante di ombrelloni. Prendete quella striscia di costa che, da Viareggio, risale soleggiata in direzione della Superba. Aggiungeteci il trionfo economico degli anni Cinquanta-Sessanta e Giancarlo Fusco (1915-1984) che fu uno dei più irriverenti e folli giornalisti italiani. Il risultato sarà un librino Mursia, piccolo piccolo ma denso denso, da leggere tutto d’uno fiato a titolo Viaggio in Versilia. L’estate del boom (pagg. 113, euro 10).
Perché se di Giancarlo Fusco, del suo essere un genio irregolare della letteratura prestato ai quotidiani e ai settimanali, si è già scritto e detto quasi tutto, come cronista estivo, allegro e scanzonato, lo si è dimenticato. Invece i brevi articoletti che scrisse nell’estate del 1960 sono deliziosi cammei che raccontano quella borghesia italiana che aveva appena iniziato a scoprire il lusso. A scriverli è un Fusco che gioca in casa. Tra quei pini e quelle distese di sabbia lo spezzino ribelle era nato e cresciuto, lì aveva dato vita ai suoi primi exploit millantatorio-surrealisti che lo avrebbero poi reso celebre nel mondo delle redazioni. Quelle trovate che facevano dire a Manlio Cancogni (lo ricorda Filippo Maria Battaglia nell’introduzione al libro): «A noi seduti al caffè Fappani di Viareggio, ci annientava con la sua incredibile capacità di raccontare, di rappresentare, con un’incredibile capacità percettiva... quando parlava era grande come Tolstoj scrittore».
È quindi naturale che sia stato l’autore di Duri a Marsiglia a cogliere per primo e a raccontare sulle pagine de Il Giorno il cambiamento delle notti versiliane che passavano allora dal monotono canto dei grilli alle note sincopate provenienti dalla «Bussola» di Focette. Oppure dalla «Capannina» che aveva smesso ormai da un bel pezzo di essere un tugurio con grammofono. E di quel mondo che apriva le gioie della villeggiatura a una borghesia che si sognava alta e spesso era men che media, Fusco racconta ogni risvolto comico e umano: i pesci già catturati, legati al fondale con il nylon e piazzati per far fare bella figura a qualche sub milanese; vecchi latin lover con tanto di titolo comitale (rigorosamente finto) a caccia di tedesche; ricchi proprietari di barche rigidamente divisi in classi e caste a seconda del motore entro o fuori bordo; bagnanti in gramaglie per la morte della loro amata cagnetta...
Ne escono narrazioni in cui lo stile di Fusco, che in altri testi tende al mirabolante, si adagia su una vena di ironia con la stessa dolcezza di una sogliola che si appoggi sui fondali marini.

Certo, va anche detto che il tono da articolo estivo, denso di richiami e ammiccamenti a fatti e cose molto sixties non rende sempre immediata la lettura; gli Skivass (la più inutile tra le invenzioni di Pietro Vassena) lasceranno forse interdetti i lettori più giovani. Così come non in tutti questi brevi racconti Fusco azzecca il ritmo. Insomma, le pepite dell’ironia sono a volte ancora un po’ sporche di terra. Ma restano delle pepite bellissime.

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