Avete mai provato a immaginare cosa succederebbe se l'attuale imperante censura del politicamente corretto femminista fosse applicata al magico mondo delle favole?
Succederebbe, tanto per cominciare, che il «c'era una volta» non ci sarebbe più perché andrebbe rivisto tutto, a partire dai nomi delle protagoniste: Cenerentola, Biancaneve, Aurora o Ariel. Tutte rigorosamente note per nome (un cognome non ce l'hanno neanche) o, peggio, molto peggio, per soprannome. Tutte senza uno straccio di un titolo di studio e senza un talento, a parte quello di essere belle, come per esempio Aurora, meglio nota come la Bella Addormentata nel Bosco, perché aveva il talento, importante, di sapere dormire bella in mezzo al bosco, che, saremo d'accordo, non è facile. Oppure quello di sapere camminare in scomodissime scarpe di cristallo con il tacco a spillo, talento he invidio moltissimo a Cenerentola.
L'attuale revisionismo femminista certamente giudicherebbe già solo questo come totalmente discriminatorio nei confronti delle donne diversamente belle (mi raccomando, brutte non si dice), oltre ad essere ormai fondamentalmente inaccettabile che possa esistere una donna bella.
Nessuna di queste ragazze che cerchi un suo ruolo indipendente nella società o, come va di moda dire oggi, una sua identità femminile indipendente. (Tra parentesi, questa cosa dell'identità femminile indipendente vorrei che qualcuno me la spiegasse, perché io, pure femmina e pure avendo, credo, un'identità, non l'ho mai capita).
Cioè, ve la vedete voi Ariel che, in fondo al mar, si mette a scrivere un blog sulla discriminazione delle sirenette nell'odierna società dominata da oppressivi bipedi? Ve la immaginate Biancaneve (che poi già così come nome non va bene, essendo bianca di nome e di fatto, un palese insulto alle diversamente bianche) influencer su Instagram a spiegare che lei no, non vive con i sette nani, ma con sette meravigliosi uomini diversamente alti, discriminati e rigettati da una società di normalmente e schifosamente alti? No, ovviamente no.
La realtà dei fatti è che tutte queste protagoniste sono delle pure e semplici arrampicatrici sociali: non studiano, non si impegnano, non cercano affatto un loro ruolo o una loro identità indipendente, ma vivono felici e contente solo quando trovano marito e possono finalmente fare la vita delle mantenute. E vogliamo parlare dei mariti?
Già si chiamano principi azzurri, e si comincia male, malissimo. E se ci fosse un principe a cui piace il rosa o addirittura un principe daltonico? Si troverebbe discriminato. Inoltre, sono tutti maschi bianchi eterosessuali bellissimi, cioè il peggio del peggio che il femminismo possa concepire, l'abominio assoluto.
E poi come arrivano, come entrano in scena tutti questi principi? Cavalcando un altro maschio bianco, il loro destriero, tutti tranne Aladin, che infatti è un poveretto diversamente bianco ridotto a spostarsi usando un tappeto.
Dove li mettiamo tutti i principi (e relativi destrieri) diversamente belli, diversamente bianchi, omosessuali, non binari, gender fluid in piena crisi di identità? Probabilmente li avranno messi tutti in un ripostiglio a Disneyland in attesa di qualche favola politicamente corretta dove poterli piazzare.
Ma ve lo riuscite ad immaginare voi un dialogo fra un tradizionale principe delle favole e una moderna principessa femminista che si incontrino, per sbaglio, al ballo del castello? Probabilmente voi no, ma io sì e, secondo me, andrebbe più o meno così.
Principe Tradizionale: «Sei bellissima».
Principessa Femminista: «Sei sessista. Mi hai appena vista, non mi hai ancora sentita parlare e già hai oggettificato il mio corpo, stereotipato il mio aspetto secondo i canoni della società patriarcale e hai ridotto, minimizzato, annullato il mio essere Donna con la D maiuscola al mio mero aspetto fisico in sole due parole!».
PT: «Ma il mio era solo un complimento...».
PF: «E tu credi che io abbia bisogno della validazione di un rappresentante del patriarcato per vedere riconosciuta la mia bellezza esteriore, che dovrebbe comunque essere inessenziale al raggiungimento del ruolo femminile e indipendente che mi spetta nella società?».
PT: «No, ma ti posso almeno dire che appena ti ho visto mi sono innamorato?».
PF: «Stai quindi presupponendo che dovrei assecondare i tuoi schifosi desideri di maschio bianco eterosessuale in quanto femmina sottomessa senza una volontà indipendente?».
PT: «No, ma scusa io non ti piaccio?».
PF: «Mi stupisco che tu non riesca a renderti conto di come questa tua domanda sia una colpevolizzazione implicita rivolta al mio presupposto orientamento sessuale. Ma tu non ti sei neanche posto il problema di quale fosse la mia identità sessuale, vero? Tu ragioni per stereotipi binari, tu sei convinto che la mia identità di genere debba essere allineata al sesso che mi è stato assegnato alla nascita, vero?».
PT: «Veramente gli stereotipi binari non so neanche cosa siano. Vabbè andiamo a ballare, dài».
PF: «Ma cosa fai?? Mi tocchi? Mi hai per caso chiesto se avevo voglia di ballare? Ti sei accertato di avere il mio consenso prima di approcciarmi con un esplicito contatto fisico di chiara natura sessuale? Questo è un affronto, uno stupro, una violazione del mio corpo del quale tu, schifoso rappresentante del patriarcato, credi di poter disporre a tuo uso e consumo!».
PT: «Va bene, mi hai convinto. Divento gay».
Giulia Bignami
Chimica inorganica, figlia degli astrofisici Nanni Bignami
e Patrizia Caraveo. In aprile uscirà da Baldini+Castoldi il suo libro La zattera astronomica
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