«Quando smetti di crescere, cominci a morire». È William Burroughs (1914-1997), uno dei protagonisti della beat generation, a mettere queste parole in bocca al suo alter-ego letterario, protagonista della Scimmia sulla schien a, parole che lo scrittore mette in pratica per tutta la vita. La ricerca insaziabile, che lo aveva trasformato in tossicodipendente, lo aveva infatti anche spinto verso nuove esperienze esistenziali, spronandolo all'elaborazione di uno stile letterario sperimentale e all'esplorazione di forme artistiche innovative.
Definirlo semplicemente scrittore sarebbe riduttivo, anche se la sua prolifica attività letteraria, che comprende una ventina di romanzi oltre a una notevole quantità di racconti e alcune raccolte di versi, ne ha fatto un importante protagonista della letteratura del secondo dopoguerra, che Norman Mailer definì «l'unico scrittore americano che può meritarsi l'appellativo di genio». La sua versatilità si esprime anche in campo musicale, come dimostrano il pezzo registrato con Laurie Anderson e un videoclip girato con gli U2; nel cinema, con la partecipazione a numerosi film come attore o come protagonista di documentari sulla sua vita; e infine nelle arti visive, con la realizzazione di opere decisamente originali, di cui ci viene fornita testimonianza in una intervista, a cura di Fiorella Iacono, pubblicata con il titolo Pittura, sperimentazione, scrittura. Da Blade Runner all'arte dello sparo (Mimesis, pagg. 54, euro 5,90).
È il 1989 quando, alla Galleria Cleto Polcina di Roma, viene esposta la mostra intitolata «Dipinti shotgun e collages», che raccoglie le opere realizzate nel biennio precedente da Burroughs con una tecnica personalissima, consistente nell'uso del fucile al posto dei pennelli. Accortosi casualmente dei giochi di colore creati da una fucilata sparata in una tavola di compensato, Burroughs si applica a realizzare opere su tela, carta o legno sparando pallottole contro tubi di vernice o bombolette spray appese davanti o dietro la superficie del dipinto, producendo effetti di colore molto forti, che in qualche modo riprendono la tradizione dadaista del collage e delle parole in libertà futuriste.
Come spiega lui stesso nell'intervista, i tentativi di rinnovamento del linguaggio testimoniati dai suoi libri proseguono, senza soluzione di continuità, anche nelle opere pittoriche; convinto, dallo studio dei geroglifici e della scrittura maya, che il linguaggio sia innanzitutto immagine, Burroughs prova a rappresentare il verbo, l'immagine in movimento, l'azione fissata sulla tela, proprio come, ottant'anni prima, altre avanguardie artistiche avevano visto nell'ideogramma cinese un mezzo di poesia.
La linea di confine tra scrittura e pittura è annullata, e l'arte diventa un modo di rappresentare la realtà per quello che è: un divenire continuo, una trasformazione incessante, esattamente come aveva teorizzato la saggezza antica, dal panta rei di Eraclito alle Metamorfosi di Ovidio, all'I-Ching confuciano. La scrittura, dice Burroughs, segue per forza una linearità, una sequenza, mentre la pittura offre la possibilità di vedere tutto nello stesso momento, «nell'insieme», avvicinando così l'artista e soprattutto il pubblico alla possibilità di cogliere gli innumerevoli punti di vista di ogni singolo e irripetibile istante.
La pallottola di fucile sparata da Burroughs sulla tela corrisponde alla freccia scagliata verso il bersaglio dall'arciere descritto da Eugen Herrigel nel suo celebre Lo Zen e il tiro con l'arco . Non c'è più un rapporto di causa ed effetto o di sequenza degli eventi: la realtà appare all'improvviso, tutta in un colpo, come una rivelazione sfolgorante e inaspettata, anche se è frutto di una faticosa e incessante ricerca. L'illuminazione, il satori, è lo scopo, non sempre dichiarato, di artisti come Burroughs e i suoi amici della beat generation, vagabondi del Dharma o bambini mai cresciuti, che provano a spingersi sempre oltre la linea, al di là del conosciuto, per raggiungere le fonti dell'energia creativa ed «evocare l'imprevedibile, coltivando incidente e casualità».
Parole di Burroughs, che riprendono quanto affermato alla fine del romanzo Terre Occidentali , dedicato all'amico Brion Gysin: «Il vecchio scrittore non poteva più scrivere perché era arrivato alla fine delle parole, alla fine di quello che può essere fatto con le parole». È arrivato il momento di imbracciare il fucile e premere il grilletto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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