Quando l'arte cura l'uomo

A Venezia la Pro Biennale: l'arte torna al centro della vita dopo un anno di pandemia

Quando l'arte cura l'uomo

Le calli di Venezia sono quelle di sempre, ma diverse. C'è meno calca e delle mille lingue sorvegliate dal campanile di piazza san Marco è rimasto davvero poco. Passeggiando per la città, però, si cominciano a sentire i primi accenti tedeschi e, probabilmente, americani. Venezia è ripartita, seppur a fatica. Un anno di pandemia ha rischiato di mettere in ginocchio la città nata sull'acqua. Al Florian i musicisti suonano le arie di sempre, ma leggermente più malinconiche. Le file, per entrare nella basilica, sono sempre più lunghe e le gondole scivolano leggere su un'acqua più limpida del solito.

Lasciandosi alle spalle San Marco, si arriva alla Riva degli Schiavoni e poi alla Chiesa della Pietà, uno dei tanti gioielli che Venezia conserva gelosamente. La scritta Pro Biennale introduce il flaneur che ama perdersi per le vie di questa città a un mondo nuovo. A un mondo dove l'arte ha ingaggiato, ancora una volta, la sua battaglia contro la malattia e la morte. È proprio qui, infatti, che Salvo Nugnes ha voluto organizzare insieme a Vittorio Sgarbi la nuova edizione della Pro Biennale. Una mostra aperta a tutti perché tutti, in un anno così complesso, abbiamo bisogno di arte.

Scrivono Alain de Botton e John Armstrong ne L'arte come terapia: "Una buona fetta del successo in campo artistico si deve alla capacità dell'artista di 'sublimare' il dolore e alla sua ricezione da parte del pubblico. Il termine sublimazione, derivato dalla chimica, indica il processo tramite il quale una sostanza solida si trasroma direttamente in gas senza passare dallo stato liquido. In ambito artistico, per sublimazione si intendono i processi psicologici della trasformazione, in cui esperienze vili e insignificanti si convertono in qualcosa di nobile e raffinato: esattamente quel che può accadere quando il dolore incontra l'arte". È il caso, per esempio, de L'elemento umano di Antonino Zagame, catanese classe 1980. Il suo Pinocchio, braghette verdi, camicia e cappello rosso e bianco, abbraccia malinconico un tronco. È la realtà che si ribalta. Ha visto l'uomo, ha provato dolore e non vuol più essere come lui. Vuole tornare legno. Inanimato, ma forse più felice. È il sublime. Oppure è il caso di Ruggero Rotondi, classe 1960 di Cerro Maggiore. La sua Stanza dei sogni è un muro scrostato e dai colori tenui. E una chiave, sola, appesa a un chiodo. Come trovare i sogni? Dove andare a cercare la felicità? Nessuno lo sa. Ma esiste una chiava, una soltanto, capace di portarci altrove.

Il sacro e il profano accompagnano la Pro Biennale di quest'anno: c'è il Cristo, modernissimo, di Valentina Guadagnucci (Dal Vangelo secondo Giovanni), e la trilogia "medievale" di Julia Populin, passando per Il San Matteo evangelista di Bruno Giustiniani. Ci sono le virtù di Anisoara Elena Sasu e, a fare da contraltare, la sensualissima Scuola della carne di Ornella Toso. Ci sono, infine, le mani della madre di Rachele Moscatelli e la spiritualità che si fa quadro di Raffaella Corcione. E poi le mille donne di Gino Baglieri: angelicate, sensuali, cariche di aspettative e deluse. Le donne che si fanno donna. Che resta. Un po' come scrive Hesse in Narciso e Boccadoro: "Tutto sfioriva presto, presto era esaurito ogni piacere e nulla rimaneva fuor che ossa e polvere. Ma no, una cosa rimaneva: la Madre eterna, antichissima ed eternamente giovane, col sorriso d'amore triste e crudele. La rivedeva a momenti: gigantesca, con le stelle nei capelli, seduta a sognare sul margine del mondo, coglieva giocando con la mano un fiore dopo l'altro, una vita dopo l'altra e lentamente li lasciava cadere nell'abisso senza fondo".

Per la prima volta, accanto a quadri, sculture e fotografie (come quelle di Yari Carrisi), anche poesie. Alcune plastiche, come quella di Rossana Guerrera, Amore a Pioli, dove i versi crescono man mano che aumenta l'amore. Oppure quelle intime di Teodolinda Rosica e di Irene Catarella. E non poteva essere altrimenti, soprattutto se lo sfondo dell'esposizione è quello di una chiesa, dove il logos, ovvero il Verbo, si è fatto carne. La parola torna centrale, ancora una volta.

È il microcosmo della Pro Biennale che racchiude il macrocosmo.

Le passioni con le loro antitesi. L'odio con l'amore. Il divino con il profano. Il gioco con il lavoro. La vita con la morte. Ma tutto, alla fine, serve ad esorcizzare. A dire che, nonostante tutto, siamo ancora qui. Anche grazie all'arte.

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