Quei sei personaggi in un "Io" sospeso tra realtà e finzione

I Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello riproposto al teatro Vittoria di Roma fino al 18 marzo. Il "testo" del Novecento italiano è insuperabile e insuperato

Quei sei personaggi in un "Io" sospeso tra realtà e finzione

Perché continuare con il teatro? Perché insistere con la “messa in scena”, stanca e ripetitiva se letta attraverso i travolgenti codici dell’attualità? Perché incaponirsi nell’apologia della parola e dell’immagine fissa, quando la realtà che ci avvolge (meglio, ci assedia) comunica in tempo reale, scorre con fotogrammi mai fermi, rimescola incessante sulla Rete turboparole e sfavillio di iperboli?

Il perché – uno dei tanti perché – lo si deve a uno di quei testi che non "fanno" la storia del teatro e non "sono" neppure la storia del teatro. No, semplicemente "sono il teatro" e di fronte a essi la storia è costretta a chinare il capo, il tempo si scardina, la realtà appare nuda, la carne viva come in una ferita prodigiosa. I Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello – riproposto al teatro Vittoria di Roma fino al 18 marzo -, per la sua peculiarità, è il "testo" del Novecento italiano. Insuperabile e insuperato. Un potente proiettore di luce sul passato e sull’avvenire, che fonde nell’istante. L’attimo che nella pièce arriva come urlo straziante dei Personaggi, laddove urlano la natura profonda del dramma, che è il dramma degli uomini sospesi tra forma e sostanza, realtà e finzione. L’abisso dell’eterno ritorno: "Accade! Accade ogni volta!".

A un'ennesima riproposizione dei Sei personaggi non solo non ci si può sottrarre ma, in un rituale volto esclusivamente alla cura del Sé, occorrerebbe dedicare almeno una rappresentazione per ciascuna delle stagioni della vita. Tante sono le pieghe, tanti gli spunti, tante le possibilità di percezione da trarne. Una per ogni età, una per ognuno dei personaggi annidiati nel nostro intimo "Io". "Il dramma – recita il Padre – è tutto qui: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi si crede uno ma non è vero: è tanti, signore, tanti, secondo tutte le possibilità d’essere che sono in noi: uno con questo, uno con quello, diversissimi! E con l’illusione, intanto, d’essere sempre uno per tutti e sempre quest’uno che ci crediamo in ogni nostro atto. Non è vero! Ce ne accorgiamo bene, quando in qualcuno dei nostri atti, per un caso sciaguratissimo, restiamo all’improvviso come agganciati e sospesi: ci accorgiamo, voglio dire, di non essere tutti in quell’atto!". La somma ingiustizia, dunque, è essere considerati, da quel singolo atto commesso, per tutta l’esistenza. Restare per sempre ancorati a una delle forme del molteplice, alla più eclatante e vergognosa magari. Incomunicabilità e solitudine senza rimedio. Come capita al Padre, colto proprio dalla Figliastra finita in miseria, nel suo peccato da lupanare.

L’arte di Pirandello trova nei Sei personaggi il trionfo del teatro, la sua metafora avvincente, il suo perfetto "giocare a far sul serio". La voragine di fronte alla quale, nella prima rappresentazione al Teatro Valle nel 1921, parte del pubblico inorridì ("Manicomio! Manicomio!", gridarono in sala). Tanto "vera" questa "finzione", da richiedere rispetto filologico maniacale per il testo e la messa in scena, così come maniacalmente Pirandello l’ha indicata nei suoi scritti ("una specie di spartito, una punteggiatura fatta di punti e virgole e nessuna parentesi che ci indica qual è la maniera per recitare", ricordava il grande Giulio Bosetti). Così la ripropone anche la Compagnia del Teatro Carcano di Milano, sull’allestimento voluto appunto da Bosetti, che a quest’opera era legato indissolubilmente. Ottimi gli interpreti, che già lo affiancarono prima della scomparsa nel 2009: Antonio Salines, Padre convincente e crepuscolare, avvinto dai sensi di colpa; Silvia Ferretti, Figliastra "spavalda, quasi impudente" (così la volle l’Autore) che grazie all’enorme talento riesce a non eccedere nei toni; Edoardo Siravo, Capocomico di saldo mestiere. Degni di notazione anche la "madre velata da un fitto crespo vedovile" (Paola Rinaldi), Madama Pace (Marina Bonfigli), il Figlio, gli attori della compagnia soppiantata. Olimpica la resistenza dei due bimbi, in scena per oltre due ore.

Una scena che, come dovuto, rappresenta la disintegrazione dello spazio teatrale fino alla vertigine del "teatro nel teatro". E una struttura, il "Vittoria", che negli ultimi due anni prosegue nella sua operazione di rilancio, fino a offrire finalmente uno dei cartelloni più ricchi e interessanti della Capitale.

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