La Prima Repubblica ha dovuto affrontare una serie di questioni e di problematiche senza paragoni per le altre potenze dell'Europa occidentale: la presenza di apparati deviati in seno allo Stato, la minaccia della mafia e delle altre forme di criminalità organizzata, le guerre interne al mondo bancario e finanziario, tentativi di destabilizzazione internazionali, un costante rischio di delegittimazione dello Stato. E trasversale a queste problematiche, insorse, dagli Anni Sessanta agli Anni Ottanta, il terrorismo.
Il terrorismo in Italia provocò la morte di una personalità fondamentale della Repubblica come Aldo Moro. Il terrorismo colpì, nella sua forma neofascista, a Piazza Fontana a Milano, Piazza Loggia a Brescia, alla stazione di Bologna tra il 1969 e il 1980; lasciò dietro di sé, nella sua versione di estrema sinistra, una serie di cadaveri eccellenti, primo fra tutti quello di Moro, colpendo giudici, giornalisti, politici, ma anche lavoratori di fede comunista e sindacalisti che si erano ribellati al metodo stragista; tentò di avvelenare gli animi della generazione che maturava e cresceva dopo la fine dell'era entusiasmante del boom economico. Ma fu, in fin dei conti, sconfitto. E quella dell'Italia repubblicana fu una vittoria totale, senza compromessi: il terrorismo non riuscì a mutare le forme dello Stato, non incentivò né la reazione autoritaria volta a prevenire l'arrivo delle sinistre al potere (come avrebbero voluto i fautori della pista nera) né i deliranti propositi delle Brigate Rosse, che si immaginavano avanguardia rivoluzionaria per una sovversione dello "Stato imperialista delle multinazionali". Il terrorismo non creò un movimento strutturato, ma fu costretto a soccombere mentre venivano smantellate le organizzazioni, si sciolse sotto l'onda delle conversioni e dei pentimenti degli ex militanti e non contribuì a alimentare sfiducia e rammarico dei cittadini italiani verso le istituzioni.
Una considerazione troppo spesso sottovalutata nel dibattito pubblico è che l'Italia è stata l'unica nazione della Nato capace di conseguire nel secondo dopoguerra un chiaro successo strategico contro un'insorgenza terroristica. Non ci sono riusciti gli Stati Uniti, che anzi con la guerra globale al terrore hanno unito reazione geopolitica e lotta alle organizzazioni militanti dopo l'11 settembre. Non è riuscito totalmente il Regno Unito, nonostante la durissima controguerriglia in Irlanda del Nord. Men che meno la Turchia nei confronti delle azioni curde. Sui risultati ottenuti da Francia e Belgio nella comprensione e nella reazione alla faglia islamista interna degli ultimi anni è utile sorvolare, mentre anche la Spagna non può dire di aver piegato sul campo la guerriglia basca dell'Eta nonostante il ritiro di quest'ultima dalla lotta armata.
L'Italia ha invece travolto, negli anni, le organizzazioni terroristiche che minacciavano lo Stato. E ha soprattutto vinto politicamente impedendo la formazione di qualsiasi spazio di consenso popolare a frange estreme isolate come gruppi criminali dal corpo sociale.
Fu una battaglia sul filo del rasoio in un contesto estremamente problematico che ebbe i suoi principali protagonisti in chi, sul campo, applicò le manovre di isolamento e ricerca dei terroristi, neri e rossi, e interpretò con elasticità le leggi speciali promosse dai governi italiani e dal Parlamento senza però confliggere mai apertamente con le regole di una matura democrazia. L'eroe eponimo di questa campagna fu il generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, che tra il 1974 e il 1976 organizzò e diresse il Nucleo Speciale Antiterrorismo dispiegato nella giurisdizione della Legione Carabinieri di Torino, in cui portò le competenze acquisite da partigiano, nel corso della lotta a Cosa Nostra e nel quadro della caccia alle Brigate Rosse. Intercettazioni, pedinamenti, appostamenti, infiltrazioni: con Nucleo il generale inaugurò un metodo nuovo di effettuare indagini privilegiando l’attività di intelligence rispetto all’intervento operativo fine a se stesso avendo come obbiettivo primario la disarticolazione delle organizzazioni eversive, strutturato in forma sempre più ampia dopo la sua nomina nel 1978 a coordinatore delle forze di polizia e degli agenti informativi per la lotta contro il terrorismo. Nello stesso periodo videro la luce il GIS (Gruppo di intervento speciale) dei carabinieri, il NOCS (Nucleo operativo centrale di sicurezza) della polizia e, più avanti, i reparti SVATPI (Scorta Valori Anti Terrorismo Pronto Impiego, in seguito divenuti ATPI) della Guardia di Finanza.
Dalla Chiesa fu decisivo per colpire al cuore le Brigate Rosse prima del loro vero e proprio suicidio politico avvenuto col sequestro Moro. Al contempo, le forze armate e di sicurezza furono più forti delle contaminazioni interne che animarono la cosiddetta strategia della tensione. E nonostante episodi opachi come il "golpe Borghese", rifuggirono sempre dall'opzione di un coinvolgimento in azioni eversive. La fedeltà allo Stato di militari, carabinieri, poliziotti e il lavoro di giudici di visione come Guido Salvini e Rosario Priore hanno contribuito a colpire con tenacia i terroristi, a farne naufragare le prospettive.
Le leggi speciali emanate negli Anni Settanta e Ottanta, del resto, identificavano i terroristi come nemici pubblici della Repubblica. Salus rei publicae suprema lex: in nome della tutela della sicurezza dello Stato, l'Italia creò i gruppi antiterrorismo, instaurò una serie di dure aggravanti nella custodia cautelare e nelle pene per i rei colti in flagranza in attività legate al terrorismo (Legge Reale del 1975) e di inasprimento delle pene per i membri delle organizzazioni eversive (Legge Cossiga del 1980). Significativo sottolineare come oltre all'arco di governo formato da democristiani, socialisti, socialdemocratici, liberali, repubblicani, tali leggi avessero ricevuto l'appoggio del Partito Comunista, desideroso di fugare ogni sospetto di connivenza con le Br.
La battaglia contro il terrorismo mise alla prova la fibra più profonda della Repubblica. Rappresentando una sfida vinta e un banco di prova per il durissimo braccio di ferro dello Stato con la Mafia siciliana, costretta a crollare per le inchieste di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dalle leggi sul carcere duro e dalla perdita di consensi e di fatto giunta a un passo dell'autodistruzione con le bombe del 1992-1993, in cui del resto Dalla Chiesa trovò la morte e per la costituzione di una cultura della sicurezza tornata utile di fronte all'insorgenza jihadista.
La vittoria contro il terrorismo e la punizione dei responsabili data dalla giustizia sono le migliori risposte e il miglior ricordo che l'Italia potesse tributare ai 350 morti subiti nella lunga stagione delle bombe, delle stragi e degli scontri politici. Morti da ricordare nella coscienza collettiva come martiri di uno Stato che ha saputo resistere a prove senza pari per altre nazioni simili in Europa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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