La Silicon Valley, il sogno americano e l'ipocrisia degli ultras liberal

Nella patria della tecnologia dove basta un'app per fare i miliardi, si scatenano tutte le contraddizioni della sinistra americana che vuole far fuori Trump a tutti i costi

La Silicon Valley, il sogno americano e l'ipocrisia degli ultras liberal

"È strano - scriveva Orson Welles - tutti quelli che si perdono prima o poi si ritrovano a San Francisco. Dev'essere una città deliziosa, e possedere tutte le attrattive del Nuovo Mondo". San Francisco, dunque. Terra dell'abbondanza, ma anche della contraddizione. Polo marcatamente liberal - a tal punto da aver intasato i lettini degli psicoanalisti quando Donald Trump ha vinto le elezioni quattro anni fa - ma al tempo stesso centro nevralgico del capitalismo più sfrenato, quello che fa impazzire (all'insù) l'indice Nasdaq e che scommette su app, bitcoin e blockchain. È il sogno americano declinato all'ennesima potenza: bastano una buona idea (ora si chiama start up) e un venture capitalist per diventare miliardari. O quantomeno: sognare di diventarlo. È il futuro ora, con tutti i suoi difetti: il controllo spasmodico dell'intelligenza artificiale sull'uomo, il divario sociale sempre più marcato, il tasso di natalità a zero, i rapporti tra persone gestiti dai computer.

Le due Americhe

A raccontare tutte queste contraddizioni, in un libro affascinante, è Michele Masneri, giornalista e scrittore che dopo aver vissuto un po' a San Francisco ha dato alle stampe con Adelphi l'interessantissimo Steve Jobs non abita qui. Si tratta di una sorta di reportage che esalta e al tempo stesso fa a pezzi il mito della Silicon Valley. Dipende con che spirito viene letto. L'importante è capire, prima di cimentarsi, che quella che viene raccontata non è l'America. O meglio: è solo una piccola parte della prima potenza mondiale. Ma, sebbene qui si fatturino cifre che valgono più di interi pil statali, bisogna essere consci del fatto che fuori da lì è tutta un'altra musica. Persino Los Angeles, che da San Francisco dista appena un'ora e venti d'aereo, ha un altro dna. "Ci sono due Americhe - spiega Masneri - una tecnologica e avanzata dove si guadagna bene e si spende tanto, e sta soprattutto qui a San Francisco, a Seattle, a New York, o in qualche altro posto della bolla liberal sulle due coste; e poi c'è la seconda America, che è rimasta indietro, fatta di tante zone del Midwest, quei fly-over dove non si fa scalo".

San Francisco

La terra delle contraddizioni

Alle presidenziali del 2016 Hillary Clinton stravinse in California incassando il 66.5% dei voti contro il 33.2% ottenuto da Trump. Un dato che non stupisce nessuno, ma che la dice lunga sulla fede di uno Stato che porta la sua fede ultra liberal agli eccessi proprio a San Francisco. Qui il trionfo dell'ex segretario di Stato è stato pressoché totalizzante: il 85.3% delle preferenze contro il 9.9% del tycoon. E pensare che molti la consideravano addirittura troppo "fascistona" per i loro gusti. Ma come si concilia con il credo dei fan di Ayn Rand una città in cui "chi guadagna meno di centomila, i famigerati six figures, le sei cifre, è visto come pezzente"? Qui, come spiega Masneri, "il prezzo medio al metro quadro è di undicimila dollari, l'appartamento medio viene 1,65 milioni: l'affitto quattromilacinquecento al mese". Il risultato? Nessuno fa più figli. Chi li fa è considerato un super eroe. "Un bambino, bio o in provetta, è del resto lo status symbol definitivo - continua - è più caro di una Tesla e, a parte i metri quadri che occupa, di asilo vale almeno trentamila dollari l'anno". Da anni, infatti, a San Francisco ci sono più cani che pargoli e chi decide di procrearne uno migra verso i "suburbi boscosi".

Donald Trump in California

Da San Francisco il peregrinare di Masneri ci porta nella Silicon Valley. Uno dopo l'altro si toccano con mano il quartier generale di Google, la Spaceship voluta da Steve Jobs, l'università di Stanford, la casa di David Kelley (il papà del mouse Apple) disegnata da Ettore Sottsass, un Criptocastello dove si fanno i miliardi con i bitcoin e così via. È dove si fanno i miliardi veri, dove gli startupper di tutto il mondo fanno carte false per arrivare e per farsi notare. Alcuni di questi nerd, "rifiutandosi di fare i pendolari" da San Francisco, finiscono per vivere nei camper. Ce ne sono a decine, per esempio, lungo la Space Park Way, lo stradone che a Mountain View costeggia il Google Campus.

L'ipocrisia dei democratici

In questi "non luoghi", dove lo stipendio medio è di 160mila dollari l'anno, vengono prodotte tutte quelle app che, a detta dei democratici statunitensi, hanno fatto vincere Trump alle elezioni riempiendo gli americani di fake news. Da queste accuse, e altre ben più toste (vedi quella di fomentare su Facebook odio e razzismo), Mark Zuckerberg deve continuamente farsi scudo. "In fondo - fa notare Masneri - nasce qui l'idea che uno vale uno: Uber si basa sul concetto che il tassista non vale niente, ti porto io con la mia macchina; Airbnb significa che la mia casa è meglio dell'albergo professionale; e così via". Stride l'ipocrisia che serpeggia negli ambienti democratici dove si ostenta una superiorità morale che non c'è. Un po' come Netflix che scodella, a pochi mesi dalle presidenziali, il documentario The social dilemma per criticare l'uso dei big data e denunciare il plagio delle menti attraverso i social network. È un cortocircuito da cui la Silicon Valley fatica a cavarsi fuori. Ma poco le importa finché i loro prodotti continuano a funzionare. Ma cosa ci aspettiamo da una città dove tutto è radical chic, financo il cibo ("diete demenziali" e digiumi intermittenti convivono con "la ricerca di prelibatezze sempre più squisite e a chilometro zero", mentre le mense aziendali fanno a gara per accaparrarsi i migliori chef italiani del Paese); dove al Gay Pride la Disney sfila con un pulmino a due piani e lo slogan "Same sex offered since 1995"; dove la pillola per prevenire l'Hiv è gratis (a patto che il paziente venga costantemente e morbosamente schedato) mentre l'insulina costa un occhio della testa?

Mai come a San Francisco il detto "parla come mangi" calza a pennello. È, infatti, nei ristoranti, dove i food actvist fanno la guerra ad hamburger e patatine fritte con menù più salutari, che esplode l'elitarismo di questa terra. Qui il menù diventa propaganda politica. Secondo il critico Worren Belasco, è stata la controcultura, che negli anni Sessanta ha travolto l'università di Berkley, a generare la cucina bio. "Tutto ciò che era bianco (la Casa Bianca, i colletti bianchi, lo zucchero bianco) all'improvviso non andava più bene - spiega in Appetite for change. How the counterculture took on the food industry - e sono arrivati lo zucchero scuro, i diritti dei neri, il cavolo nero". Ma non fatevi illusioni: anche in questo caso, sono i soldi a far girare il sistema.

Tanto che tre anni fa Jeff Bezos ha messo le mani su Whole Foods facendo passare la più grande catena di supermercati bio, dove tutto è organic e il consumo etico, "al lato oscuro della forza" dove il commercio è "elettronico e robotico".

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