C ara Pilla, le scrive lui. Caro Muccio, le scrive lei. Sono la coppia più bella del mondo, altro che Celentano e la Mori, e mi riferisco a Giacomo Leopardi e sua sorella Paolina, che tra il 1812 e il 1835 si mandano lettere così belle da far sfigurare ogni ventenne odierno, ora selezionate e raccolte nel libro Il mondo non è bello se non veduto da lontano , edito da Nottetempo. Perché non era un genio solo Giacomo, o Muccio, o Mucciaccio, o Muccietto, anche Pilla è fantastica, è lei la guest star del carteggio, degna di cotanto fratello.
Giacomo le scrive da Roma, da Pisa, da Firenze, da Napoli, Paolina riceve e risponde da Recanati, prigioniera di una vita troppo piccola per la sua mente, e di un casa ancor più claustrofobica («ogni giorno che passa accresce la mia infelicità») con frecciate micidiali d'insopportazione per l'austera famiglia («il paese dove abito io è casa Leopardi»). È affamata di libri, ma di libri moderni, e snobba la biblioteca paterna dove trova solo «i SS. Padri, e Poliglotto, e i libri teologici e ascetici e tanti altri che per me sono inutili», come darle torto. Lei si dispera, e pensa alla suicidio, Muccio la consola, con pensieri illuminanti, perfetti, all'altezza dello Zibaldone : «Non ti ripeterò che la felicità umana è un sogno, che il mondo non è bello, anzi non è sopportabile, se non veduto come lo vedi, cioè da lontano» e le ricorda che «tanto gode e tanto pena il povero, il debole, e il brutto, l'ignorante, quanto il ricco, il giovane, il forte, il bello, il dotto: perché ciascuno nel suo stato si fabbrica i suoi beni e i suoi mali; e la somma dei beni e dei mali che ciascun uomo si può fabbricare, è uguale a quella che si fabbrica qualunqu'altro». E poi Roma non è quello che sembra, i romani sono di un qualunquismo orribile «la frivolezza di queste bestie passa i limiti del credibile».
Non c'erano telefoni né sms Whatsapp, passavano mesi tra una comunicazione e l'altra con angosce che oggi paiono comiche ma in realtà erano piccoli e grandi drammi quotidiani, lui le scrive ma lei non riceve, lui risponde a una lettera precedente, lei a quella successiva, in un continuo dialogo di lagnanze per le mancate corrispondenze: «Ho tardato a rispondere alla tua del 21 gennaio, prima perché ti avevo scritto pochi giorni prima di riceverla », «Paolina mia, tu ti lagni del mio lungo silenzio. Ma io, dopo aver risposto a Pietruccio, ti scrissi poco fa, e ti feci la stessa lagnanza: ora vedo che quella lettera non ti è arrivata ».
Giacomo è all'opposto di chi lo crede una triste ginestra attaccata al vulcano, un passero solitario ripiegato in se stesso: insegue la gloria, la fama, il riconoscimento. Nel 1830 invia alla sorella anche un suo ritratto, un'incisione di Guadagnini, con uno scopo ben preciso: «Il ritratto è bruttissimo, ma fatelo girare costì, acciocché i recanatesi vedano con gli occhi del corpo (che sono i soli che hanno) che il gobbo del Leopardi è contato per qualche cosa nel mondo, dove a Recanati non è conosciuto neppur di nome». Frequenta salotti romani e chiunque lo possa aiutare, negli anni Ottanta sarebbe andato tranquillamente al Maurizio Costanzo Show a leggere L'infinito . Non è neppure così pessimista come lo si dipinge, è un realista estremo e sa quanto ogni sofferenza mentale, come ogni gioia, sia un'illusione, come poi lo saprà Proust o le moderne neuroscienze, e alla depressione di Paolina risponde di tenere a freno l'immaginazione: «Mi spiace molto sentirti travagliata dalla tua immaginazione.
Non dico già dalla immaginazione, volendo inferire che tu abbia torto, ma voglio intendere che di lì vengono tutti i nostri mali, perché infatti, non v'è al mondo né vero bene né vero male, umanamente parlando, se non il dolore del corpo». Grandissimi, Muccetto e Pillina.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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