"Come mai, secondo lei, l'Isis non ha mai colpito il nostro Paese?", mi chiesero all'esame per diventare giornalista professionista. "Beh", balbettai teso, "i nostri servizi segreti sono molto efficienti e poi, diciamolo, forse il 'lodo Moro' non è stato ancora dimenticato...". "Quindi secondo lei il Lodo Moro è esistito?". "Sì, anche se non si può dire", risposi sperando di non essermi giocato il tanto agognato tesserino. La commissione mi sorrise, la tensione si stemperò e ci confrontammo a lungo. Imparai molte cose e tutto filò liscio, grazie a Dio.
Sono passati diversi anni da quel giorno, ma il "Lodo Moro" ha continuato a interessarmi. Soprattutto negli anni in cui la minaccia di Daesh era ancora forte e i miliziani vestiti di nero continuavano a compiere attentati in Europa. Mi chiedevo perché il nostro Paese non venisse mai colpito. Perché un lupo solitario dello Stato islamico potesse colpire la Francia, la Germania, la Spagna ma non l'Italia. In qualche modo - mi chiedo - il "Lodo Moro" funziona ancora?
Di sicuro ci ha fatto scudo dal 1973 al 1979, quando qualcosa si ruppe, come racconta Beppe Boni, condirettore de Il Resto del Carlino, ne La strage del 2 agosto. La bomba alla stazione, i processi, i misteri, le testimonianze (Minerva).
Nel novembre del 1979 vengono infatti arrestati ad Ortona tre esponenti del collettivo di via dei Volsci. Stavano trasportando due missili terra-aria Strela 2, che appartenevano all'Fplp, l'organizzazione palestinese di matrice marxista aderente all'Olp che agiva insieme al gruppo di Carlos lo Sciacallo. Insieme a loro viene arresato anche Abu Saleh, il rappresentante del Fplp in Italia, che tiene sul proprio comodino il numero di telefono del colonnello dei carabinieri Stefano Giovannone. È lui ad agire per conto di Moro con i palestinesi. Sono suoi, in quegli anni, gli occhi che controllano il Medio Oriente per conto dell'Italia.
A luglio, quando inizia il processo a Saleh, "il presidente del tribunale riceve una missiva da parte dell'Olp in cui si minacciava l'Italia di una ritorsione per aver rotto l'accordo se non avessero immediatamente posto in libertà Abu Saleh, i loro compagni del collettivo di via dei Volsci e nob avessero restituito le armi di loro proprietà". I giudici ovviamente non possono sapere nulla del "Lodo Moro". Non possono neanche lontamente immaginare che il nostro Paese abbia stretto un patto con dei terroristi palestinesi. E così condannano tutti gli imputati. Da Beirut, il colonnello Giovannone raccoglie gli umore (e le minacce) dei palestinesi. "La ritorsione è nell'aria, il clima si fa teso. Sullo sfondo della trama si aggiunge anche una missiva del prefetto Gaspare De Francisci, capo dell'Ucigos, del 10 luglio 1980 indirizzata al direttore del Sisde, Giulio Grassini, in cui lancia un segnale di grave preoccupazione per il rischio di vendette se il processo di appello dei missili di Ortona, iniziato, il 2 luglio 1980, non si fosse concluso positivamente". Ma non c'è nulla da fare.
Il 16 maggio scade l'ultimatum dell'Fplp. Poco più di un mese dopo, il 27 giugno del 1980, avviene uno dei più grandi misteri d'Italia: la strage di Ustica. Nessuno sa realmente cosa sia successo quella sera d'estate di quarant'anni fa. Le piste, ancora oggi, sono diverse: c'è chi parla di una guerra nei cieli tra un caccia americano e uno libico; chi invece di un missile francese lanciato per colpire un aereo di Muammar Gheddafi e chi, invece, ritiene che quel massacro sia dovuto a una bomba palestinese. Cosa accadde realmente nessuno lo sa. Ma nei cablogrammi inviati da Beirut si legge:
"Fonte fiduciaria indica due operazioni da condurre in alternativa contro obiettivi italiani:
1) Dirottamento di un Dc Alitalia
2) L'occupazione di un'ambasciata"
In un altro cablogramma, proprio del 27 giugno in cui si consumò la strage di Ustica, si legge:
"H 10 Habet informazioni tarda sera Fplp avrebbe deciso di riprendere totale libertà di azione senza dare corso ulteriori contatti a seguito mancato accoglimento sollecito nuovo spostamento processo. Se il processo dovesse avere luogo e concludersi in modo sfavorevole mi attendo reazioni particolarmente gravi in quanto Fplp ritiene essere stato ingannato e non garantisco sicurezza personale ambasciata Beirut".
Nel suo libro, Boni si sofferma anche sullo "strano via vai", legato ad ambienti palestinesi e a Carlos lo sciacallo, nel giorno della strage di Bologna. Nella città felsinea, infatti, è presente Thomas Kram, un terrorista legato a Carlos e, soprattutto, esperto di esplosivi, "bombarolo provetto pronto a colpire ovunque, dal giorno della strage di Bologna entra in clandestinità e, dal 1896, diviene un latitante perché la Germania spiccherà nei suoi confronti un mandato di cattura". Anche Carlos ammette la presenza di un suo uomo a Bologna, ma ritiene che la bomba "fu fatta scoppiare dalla Cia e dagli israeliani per incolpare loro". Quasi un'ammissione di colpa.
Tra l'1 e il 2 agosto a Bologna c'era anche Christa-Margot Fröhlich, una terrorista tedesca, anch'essa esperta in esplosivi, che verrà arrestata nel 1982 mentre trasportava esplosivi in Bulgaria. Strana coincidenza: alloggiava all'hotel Jolly di Bologna, proprio di fronte alla stazione. Ma non solo. A Bologna quel giorno ci sono anche Francesco Marra, legato alle Brigate rosse, e alcune "turiste" cilene che verranno fermate con passaporti falsi "usati da altri terroristi in analoghi attentati", scrive Boni. Un'altra coincidenza.
Una delle 85 vittime dell'attentato alla stazione, inoltre, fu Mauro Di Vittorio. "Il suo corpo", fa notare Boni, "presentava molte bruciature, fatto indicativo che fosse vicinissimo alla bomba". Una tragica sventura? Forse. Ma colpisce un altro fattore di questa storia, come nota Enzo Raisi, autore di Bomba o non bomba: "Un giorno si presentarono una giovane donna e un ragazzo di sembianze mediorientali chiedendo di vedere i corpi delle vittime rimaste senza nome, quando passarono davanti al cadevere di Di Vittorio i due fecero la faccia sorpresa. Il carabiniere di turno (...) cercò di fermarli ma questi fuggirono". Il giorno dopo, si presentarono la sorella e la madre di Di Vittorio, ma non seppero dire chi le aveva avvisate della morte del loro caro.
Questi sono fatti. Come è un fatto la continua proclamazione di innocenza di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Perché dei terroristi che hanno le mani sporche di sangue per altri terribili attentati si ostinano a proclamarsi innocenti in merito alla strage di Bologna? Proprio ieri, l'AdnKronos ha pubblicato una loro lettera in cui chiedono a Sergio Mattarella di far luce su questa vicenda: "Se parla così, e se darà seguito alle sue parole, passerà alla storia come il presidente che ha saputo garantire un equo processo anche all’uomo accusato (ingiustamente, molto ingiustamente) di aver sparato al fratello. E alla coppia accusata, in maniera confusa, di aver messo una bomba a Bologna che invece ha messo qualcun altro. Per parte nostra noi oggi possiamo fare poco, se non continuare a offrire la nostra pacata ma ferma dichiarazione d'innocenza come contributo alla verità".
A distanza di
quarant'anni (e dopo centinaia di depistaggi), si dovrebbe forse riaprire anche la pista palestinese. E ricordarci del "Lodo Moro". "Quindi secondo lei è esistito?". Difficile, il 2 agosto, rispondere di no a questa domanda...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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