D’Alema soldato Nato: nessun ritiro da Kabul

«Amici degli Usa ma non come Berlusconi». E Washington gli concede lo stesso tempo che avrà il ministro del Botswana

Laura Cesaretti

nostro inviato a Bruxelles

Gli americani devono capire che «anche se in modo diverso da Berlusconi, anche noi siamo amici degli Usa», spiega Massimo D’Alema intervistato dal Tg5.
Per illustrare questo assunto, la partenza è fissata questa mattina all’alba dalla pista dell’aeroporto di Bruxelles, destinazione Washington, ufficio del Segretario di Stato Condoleezza Rice. L’incontro è di certo il più difficile tra quelli che il neo ministro degli Esteri abbia in agenda, e a D’Alema toccherà usare insieme forza persuasiva e capacità di sintesi: secondo indiscrezioni di fonte Usa, condite magari da una punta di sarcasmo, l’italiano avrà a disposizione poco meno di una mezz’ora, «lo stesso tempo che avrà subito dopo il ministro del Botswana». Ma D’Alema, a chi gli chiede se vi siano segnali di «ostilità» da parte Usa dopo il cambio di guardia a Palazzo Chigi, replica secco: «Nessun segnale ostile, solo un po’ di confusione fatta da alcuni organi di stampa».
Ieri da Bruxelles, dove si svolgeva il Consiglio Europeo, D’Alema ha affrontato a largo raggio, in esternazioni con la stampa, gli obiettivi del suo viaggio in Usa. Cercando anche di rettificare alcune scivolate: se l’altro giorno, a domanda dei giornalisti, aveva confermato di voler mettere sul tavolo anche il caso Calipari, ieri sera c’è stata una cauta marcia indietro: perché «la Rice - ha spiegato - non si occupa di questioni giudiziarie», e dunque con lei «parleremo di politica» e non di inchieste affidate «alla magistratura indipendente». Insomma: «Voglio essere chiaro: vorrei affrontare con la signora Rice il quadro di grandi temi di interesse comune, come la situazione nel Medio Oriente o la questione dell’Iran».
Ma in primo piano ovviamente restano la questione del ritiro dall’Irak e della missione in Afghanistan. Dove, sottolinea D’Alema, «non siamo presenti come Italia ma come Nato», e dunque, aggiunge per tener buona l’ala radical della sua coalizione che reclama il ritiro anche da Kabul, «siamo disponibili a esaminare insieme ai nostri alleati il modo in cui portare avanti questa missione, anche nei suoi aspetti politici e umanitari», anche perché «siamo preoccupati per molti aspetti della situazione in Afghanistan, che si fa ogni giorno più allarmante». Ma andarsene non si può, perché «ci sentiamo pienamente partecipi di un impegno comune dell’Alleanza atlantica e ce ne assumiamo la responsabilità».
Una posizione più sfumata di quella espressa dal titolare della Farnesina davanti alle Commissioni esteri mercoledì, quando aveva lasciato intendere che c’era anche la disponibilità a rafforzare la presenza militare italiana in Afghanistan. Mentre nelle stesse ore dall’entourage prodiano arrivavano valutazioni diverse, forse con un occhio agli equilibri interni: «La situazione là è drammatica, dobbiamo pensarci due volte prima di mandare altri soldati».
Ma è da Piero Fassino, presente anche lui ieri a Bruxelles per la riunione del Partito socialista europeo, che arriva la presa di posizione più netta: «Proprio perché la situazione in Afghanistan è così drammatica, con l’offensiva dei Taliban che rialzano la testa, l’ultima cosa che l’Italia può fare è annunciare che se ne va o riduce l’impegno. Sarebbe irresponsabile». Il segretario ds taglia corto se gli si fanno notare le resistenze dentro l’Unione: «La nostra presenza militare in Afghanistan verrà riconfermata, punto. E se ci viene richiesto siamo disponibili ad assumerci maggiori responsabilità, come ha spiegato anche Massimo D’Alema ieri in Commissione». E Fassino si dice ragionevolmente certo che alla fine anche gli alleati pacifisti si acconceranno a dare via libera: «Secondo me alla fine non ci saranno problemi a far passare il decreto».

Di certo, né il governo né il principale partito della maggioranza modificheranno la loro linea: «Dall’Irak ci si ritira gradualmente e in maniera concordata, trasformando il nostro impegno da militare a politico e civile. E in Afghanistan si resta», pronti a rafforzare la presenza se la Nato lo sollecita.

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