Dai Balzi Rossi al Rodano e tra le varie tribù c’erano anche i Siculi

Dai Balzi Rossi al Rodano e tra le varie tribù c’erano anche i Siculi


Rino Di Stefano

C'erano una volta i liguri. C'erano e non erano come quelli attuali che, per quanto radicati nella loro regione, costituiscono una comunità ben più composita di quanto non fosse quella dei loro antenati. Gli antichi abitanti della costa erano soprattutto temibili guerrieri, gente un po' rozza e tanto scontrosa, ma quanto mai orgogliosa e indipendente. Se vogliamo conoscerli meglio e risalire alle loro origini dobbiamo fare un salto ai Balzi Rossi, in quel di Ventimiglia, dove nel 1872 vennero alla luce gli scheletri di una popolazione che viveva nelle grotte, sul mare, più o meno nel periodo del Paleolitico Superiore. Sepolti sotto uno strato di ocra rossa, il medico-archeologo francese Emile Riviè re trovò tre corpi di uomini adulti: il primo, disteso sul fondo della grotta detta del Caviglione, era alto un metro e novanta; gli altri due, seppelliti nella caverna del "Bausu da Ture" , misuravano rispettivamente 1,85 e 1,95 metri. Tutti e tre appartenevano al tipo Cro-Magnon, cioè erano dei colossi dai tratti piuttosto marcati dotati di una certa sensibilità artistica e anche di un'innegabile intelligenza visto che accanto ai corpi fu rinvenuto una specie di calendario primitivo che segnava i principali fenomeni celesti.
I liguri vengono dunque dalle popolazioni dei Cro-Magnon? Al tempo: nel 1901 il canonico Louis de Villeneuve in una grotta di Grimaldi trovò altri due scheletri appartenenti ad un ragazzo alto un metro e 55 e ad una donna, forse sepolta viva per sacrificio, alta un metro e 57. Entrambi questi individui in un primo tempo vennero definiti "negroidi" e, anche se recentemente alcuni studi hanno teso a escludere questa ipotesi, il dubbio che una razza "africana" possa aver convissuto o preceduto gli uomini dei Balzi Rossi, in qualche scienziato esiste ancora.
Comincia praticamente con questo enigma archeologico il libro "I liguri" , etnogenesi di un popolo, scritto dal professor Renato Del Ponte per i tipi della Ecig. Secondo il docente, ad un certo punto della preistoria i Cro-Magnon sparirono da quello che era sempre stato il loro territorio per lasciare il posto ad un'altra razza,la cosidetta atlanto-mediterranea. Le cose andarono pressappoco così : verso la fine dell'ultimo periodo glaciale una parte dei Cro-Magnon prese la strada del Nord dando origine alla "civiltà della renna" per poi sparire nel nulla. Un altro gruppo di Cro-Magnon, invece, raggiunse l'Africa del Nord diventando Berberi dell'Atlante, Cabili dell'Algeria e Guanci delle Canarie.
Fatto sta che da quel momento in avanti, siamo già nel Neolitico, in quella che oggi è chiamata Liguria apparve la "razza litoranea" , meglio detta "atlanto-mediterranea" che sarebbe stata originata dai vecchi residenti mescolati con i neolitici mediterranei.
Secondo lo studioso francese Poisson (Le peuplement de l'Europe, Parigi 1939), il ligure di quel tempo era così fatto: "Ha una taglia elevata, una dolicocefalia tendente alla mesocefalia, in seguito allo sviluppo di bozze parietali, faccia disarmonica, prominente, mandibola bassa, mento assai accentuato, avambracci lunghi, mani e piedi molto grandi, torso largo, lo scheletro dai caratteri robusti, colorito bruno vivo, capelli di un nero brillante e piuttosto ispidi, gli occhi di un bruno rossiccio".
Anche per quanto riguarda la genetica si fanno delle ipotesi precise. Pare che gli europei autoctoni, dei quali facevano parte i primi abitanti della Liguria, avessero una forte percentuale sierologica del gruppo 0 e pressoché assenza del gruppo B, mentre l'Rh era negativo. Poi venne l'invasione dall'Oriente e con quella arrivarono i geni Rh-positivi.
La rivoluzione, dunque, avvenne nel Neolitico da quando, in pratica, si comincia a parlare di una popolazione ligure derivata dalla parola indo-europea liga che significa "luogo paludoso" o "acquitrino" . Un termine che troviamo ancora oggi nel francese "lie" nel provenzale "lia" . Col termine "ligure" vennero denominate le popolazioni che abitavano le pianure alluvionali del Rodano. Anche se altri studiosi sostengono che i greci chiamarono "Liguses" residenti della pianura che c'è tra Narbona e l'oppido di Montlaurè s, e in particolare i commercianti del quartiere marittimo di Narbona.
Come ci spiega il professor Henri Dubert, direttore dell'Ecole sed Hautes Etudes de France, nella sua documentatissima storia dei Celti (in Italia pubblicata sempre dalla Ecig) "gli antichi scrittori, che pare conoscessero perfettamente i liguri, non riferivano il loro nome a una nazione smisuratamente estesa, ma più genericamente a un nutrito gruppo di tribù (Salii, Taurini, Siculi, Ambroni), distinte dai Celti e dagli Italioti".
A questo riguardo, pare ormai certo che tra il Neolitico e l'Età del bronzo una popolazione mediterranea, che in seguito verrà chiamata ligure, abbia lasciato la costa africana o medio-orientale per dirigersi verso Nord in cerca di nuove terre approdando infine sulla costa delle riviere. Secondo un'altra ipotesi avanzata da William Ryan e Walter Pitman, professori di geofisica alla Columbia University di New York ("Il diluvio" , Edizioni Piemme), in quel periodo l'Europa venne invasa via terra da popolazioni profughe del Mar Nero fuggite dal loro paese in seguito a uno spaventoso diluvio che fece crescere di 170 metri il livello delle acque di quello che allora era soltanto un grande lago. In questo caso i fuggiaschi arrivarono in Francia dal Nord e questo spiegherebbe perché nell'antichità si parlava di un afflusso di genti che venivano dal Nord, anche se non è di quei territori che in effetti erano originari. Inoltre un segno ricorrente nella mitologia degli antichi liguri è il cigno iperboreo, animale che farebbe pensare ad un apparentamento con le popolazioni nordiche.
Comunque sia, successivamente una tribù di questo popolo, appunto quella dei Siculi, si recò nell'isola che poi avrebbe preso il loro nome. Altri invece si stabilirono nel territorio laziale. Altri ancora, come spiega lo stesso professor Del Ponte, lasciarono evidenti tracce nel Trentino-Alto Adige tra le cui montagne della zona ladina formarono una colonia. "Infatti - sottolinea Del Ponte - ancora oggi si può riscontrare una metafonia, cioè una similitudine disuoni, simile in Liguria, nell'area ladina e in Sicilia. Tanto per fare alcuni esempi, basti pensare alla ligure Lerici e alla siciliana Erice, a Sestri e a Segesta".
Del Ponte a questo proposito cita un passo di Dionigi di Alicarnasso riferito a Filisto di Siracusa, vissuto nel V secolo a.C.: "Come scrisse Filisto di Siracusa, la data del passaggio fu l'ottantesimo prima della guerra di Troia e il popolo che giunse dall'Italia non fu né quello degli Ausoni né quello degli Elimi, ma quello dei Liguri, guidato da Siculo. Narra poi che questi era figlio di Italo e che gli abitanti del suo regno erano chiamati Siculi: scrive anche che i liguri furono cacciati dalle loro terre da Umbri e Pelasgi".
Col passare dei secoli le popolazioni liguri vengono sottomesse dai nuovi invasori Celti, barbari provenienti dal Nord che però non riusciranno mai a integrarsi completamente con gli orgogliosi liguri, ed entrano in contatto con gli Etruschi, cioè coloro che fonderanno il porto commerciale di Genova, e con altre due popolazioni nordiche scese al Sud, i Latini e gli Umbri, che presto daranno origine alla potenza romana. Nelle guerre puniche le città liguri stringono alleanze diverse: Genova sceglie i romani, i centri rivieraschi di Ponente Cartagine, città con la quale avevano frequenti scambi commerciali. I romani, dopo la vittoria su Annibale, fanno terra bruciata a Ponente, ma devono faticare non poco per battere definitivamente i liguri ribelli. Dopo alcune brucianti sconfitte, nel 180 a.C.

i generali romani Publio Cornelio Cetego e Marco Bebio Tanfilo riescono ad avere la meglio sui liguri apuani e, con il consenso del senato, trasferiscono di forza 40 mila famiglie liguri nel Sannio, non lontano da Benevento. Da quel momento la storia della Liguria si unisce a quella di Roma e, tra alti e bassi, ne seguirà il destino.
(Lo stesso articolo è stato pubblicato su «il Giornale» nel 1999)

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