Dalle acciaierie al blog sul call center

«Amo il lavoro; mi affascina. Posso star seduto a guardarlo. Adoro tenermelo vicino; l’idea di liberarmene mi spezza il cuore». Se Jerome K. Jerome avesse scritto Tre uomini in barca - il romanzo da cui è tratta questa massima - in Italia nell’età dell’Acciaio, editor, agenti e altri attori del mondo editoriale avrebbero storto il naso. Ma la sconfitta allo Strega di Silvia Avallone ha scongiurato la corsa all’emulazione e all’omologazione... Forse. Ci siamo risparmiati l’inventario dei beni prodotti dall’industria pesante come fonte di ispirazione per titoli e trame? I romanzi fatti con lo stampo? La letteratura industriale nel senso di fatta in serie?
Metti insieme il romanzo di formazione, un po’ di scene saffico-pruriginose, il grande stabilimento dal futuro incerto, le case popolari di via Stalingrado, un po’ di immigrati, un incidente sul lavoro capitato a uno dei protagonisti, lo sciupafemmine del gruppo, e il successo è assicurato: queste in sintesi le ragioni dei detrattori di Acciaio. E ancora: che ne sa l’Avallone di come si vive e si muore in una grande fabbrica? Il linguaggio e le situazioni narrative non sono credibili e così via.
Ma se ci si limitasse al vissuto dello scrittore, saremmo fermi a un altro luogo comune narrativo: quello dei call center. Va bene imitare il cliché dell’apprendista scrittore americano che fa mille mestieri prima di emergere ma senza faticare troppo. Dunque il terziario è perfetto... Isbn ha appena ristampato Il mondo deve sapere, di Michela Murgia, tratto dal blog dove l’autrice raccontava l'esperienza di venditrice telefonica dell’aspirapolvere Kirby.
«Iniziamo a dire cosa c’è che mi suona male in questo libro», scrive tale “Mau” di Codogno come commento nel book-shop virtuale Ibs.com., «Non il fatto che sia nato come un blog che poi è stato cancellato in seguito alla pubblicazione: chissenefrega... Quello che è strano è la chiusura brusca della storia, e i veri motivi per cui una persona con studi di teologia (vedi terza di copertina) abbia fatto prima la callcenterista e poi la receptionist». Parafrasando Marquez, lavorare per raccontarla è lecito?
«Scrivere del lavoro è diventata una moda letteraria o è ancora un’urgenza civile e sociale?» Paolo Chirumbolo, docente universitario negli Stati Uniti sta preparando per Manni un saggio sull’argomento e lo chiede a una serie di scrittori, tra cui la Murgia che in anticipo rispetto al libro ha pubblicato l’intervista sul proprio blog. Dove non difende a spada tratta la corrente letteraria dei giuslavoristi, i precari della penna, ma si toglie un bel po’ di sassolini dalla scarpa e li scaglia in tutte le direzioni: dall’ex ministro Tiziano Treu, a Paolo Virzì che dal libro ha tratto il film Tutta la vita davanti: «La cultura come luogo di delega dell’impegno, del disagio, della critica, soprattutto della rabbia, è una forma molto subdola di controllo sociale, perché castra il potere caotico di consapevolezze che, senza rappresentanti organici al controllo, possono sovvertire lo status quo in modi altrimenti imprevedibili». E ancora: «Tutta la vita davanti è l’esempio perfetto di come in piena campagna elettorale si possa rendere innocuo un tema di forte frizione sociale come il precariato con il semplice uso di una macchina da presa».
Altro fronte è quello della pizza. Qualche mese fa Einaudi Stile Libero ha pubblicato Prove di felicità a Roma Est, dove Roan Johnson racconta il lavoro come pony express per una pizzeria periferica, la sbandata per la nordafricana Samia... Mentre Cristiano Cavina, autore di I frutti dimenticati (Marcos y Marcos), ha inviato al blog scrittorincausa.splinder.com una lettera in cui si dissocia dagli autori Einaudi che protestano contro la legge bavaglio (sarebbe, secondo lui, più coerente se cambiassero editore rimettendoci visibilità e soldi) e rivendica la libertà che il mestiere di pizzaiolo gli consente: «Io sono un pizzaiolo.

Io non voglio essere uno scrittore, io sono un narratore, e non voglio fare niente per cui qualcuno possa dirmi di essere uno scrittore nel senso che ha preso ultimamente questa parola. Sembra quasi uno status symbol, un orologio di lusso da mettersi al polso i giorni di festa».
Che dire del rapporto tra pizza e letteratura?

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