«Decreto poco coerente» Napolitano impone lo stop al Milleproroghe

Roma«Bisogna evitare che un decreto legge concernente essenzialmente la proroga di alcuni termini si trasformi sostanzialmente in una sorta di nuova legge finanziaria dai contenuti più disparati». La principale delle preoccupazioni del presidente della Repubblica è questa. Napolitano l’ha scritta in una lunga lettera inviata al governo e ai presidenti di Camera e Senato, insieme ai rilievi sul decreto-legge Milleproroghe già licenziato dal Senato e in marcia verso Montecitorio (la dead line per l’approvazione definitiva è il 27 febbraio). Il Quirinale solleva delle obiezioni su una prassi consolidata ma «irrituale» (che «contrasta con puntuali norme della Costituzione, delle leggi e dei regolamenti parlamentari) per cui il decreto si è trasformato in una specie di finanziaria occulta.
Napolitano, nella lettera, ha ricordato che al testo originario del decreto legge, dopo le modifiche delle commissioni del Senato e del governo, sono stati aggiunti altri 5 articoli e 196 commi, quando invece «l’intendimento manifestato dal governo al capo dello Stato» era di «prevedere pochi e mirati interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie». «Molte di queste disposizioni aggiunte in sede di conversione - osserva il capo dello Stato - sono estranee all’oggetto quando non alla stessa materia del decreto, eterogenee e di assai dubbia coerenza con i principi e le norme della Costituzione», e questo «elude il vaglio preventivo spettante al presidente della Repubblica in sede di emanazione dei decreti legge». A questo si aggiunge una lamentela già espressa in passato da Napolitano, e cioè che «il frequente ricorso alla posizione della questione di fiducia realizza una ulteriore pesante compressione del ruolo del Parlamento».
Dunque, con la scadenza ravvicinata, il milleproroghe rischia di saltare? In realtà Napolitano si dice «consapevole» che un eventuale rinvio alle Camere del decreto creerebbe la necessità di sanare con una nuova legge gli effetti delle proroghe inizialmente previste e poi decadute a causa della scadenza del termine di 60 giorni. Un problema che ha indotto in passato solo in due casi i capi dello Stato a scegliere questa strada (Napolitano cita le decisioni del 2002 e del 2006 di Carlo Azeglio Ciampi). Per evitare questo inconveniente Napolitano ritiene «possibile anche una almeno parziale reiterazione del testo originario del decreto legge», grazie a una «leale collaborazione tra governo e Parlamento da un lato e fra maggioranza e opposizione dall’altro».
Opposte le reazioni politiche ai rilievi del Quirinale. Il premier non sembra sorpreso dalle osservazioni del presidente della Repubblica, come riferisce un comunicato del Quirinale secondo cui «il presidente del Consiglio ha convenuto sulle osservazioni di metodo formulate dal presidente della Repubblica». Per l’opposizione invece la lettera di Napolitano equivale a una bocciatura secca del governo. Fini, dovendo rispettare l’etichetta di presidente della Camera, si è limitato a dire che «la lettera si commenta da sola, basta leggerla», mentre il centrosinistra passa all’attacco. Di Pietro invita il Colle a sciogliere le Camere la prossima volta, mentre il Pd attende il governo al varco, pronto all’ostruzionismo. Molto ottimista invece il leader della Lega Umberto Bossi. Napolitano, dice il segretario federale, «lo considero abbastanza amico». Il provvedimento? «Questa è l’ultima volta, ma passa».
Tecnicamente, per far passare le misure contenute nel Milleproroghe, è molto probabile che il governo presenti al più presto un maxiemendamento che riproponga il testo originario del decreto. L’alternativa è proseguire con il testo attuale.

A favore di quest’ultima strada ci sarebbe la chiusa della lettera di Napolitano: «Mi riservo altresì, qualora non sia possibile procedere alla modifica del testo approvato dal Senato, di suggerire l’opportunità di adottare successivamente possibili norme interpretative e correttive, qualora io ritenga, in ultima istanza, di procedere alla promulgazione della legge».

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