Roma - Ha tante facce il popolo della protesta contro le liberalizzazioni del governo Monti. Tutte arrabbiate. Che vestano camici bianchi, divise da lavoro o grisaglie grigie, tassisti e farmacisti, autotrasportatori e avvocati, ferrovieri e benzinai per una volta sono uniti in un eterogeneo «fronte del no».
E da oggi promettono, con una serie di scioperi, di ribattezzare come «spacca Italia» il contestato decreto governativo. Non fa breccia l’ultimo appello del premier, sugli interessi legittimi di centinaia di categorie che creano «una gabbia» e fanno perdere la visione generale producendo «il danno dei propri figli».
Comincia oggi in tutta Italia la categoria più avvelenata, quella dei tassisti. Le auto bianche si fermano ovunque dalle 8 alle 22, portando al culmine la protesta già iniziata da giorni con l’agitazione «selvaggia». «Chiediamo al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di non firmare il decreto e alle forze politiche di assumersi le proprie responsabilità e di non scaricare la crisi sui tassisti», dice il segretario nazionale di Unica-Cgil, Nicola Di Giacobbe. Oggi sarà a Roma, al Circo Massimo, dove convergeranno i tassisti esasperati. Al governo chiedono un nuovo incontro per discutere della licenza part-time e dell’Authority delle reti, che dovrebbe decidere sull’assegnazione delle licenze. Non basta che alcune richieste dei tassisti siano state accolte (su licenze plurime e extraterritorialità) e i sindacati vanno avanti. Non partecipa Confartigianato Taxi. Poi c’è il blocco dei Tir da oggi a venerdì. Da mezzanotte e per ben cinque giorni incrociano le braccia gli aderenti all’associazione Trasporto Unito. È insufficiente, per l’organizzazione autonoma, l’inserimento del pagamento trimestrale del recupero delle accise sul gasolio nel decreto sulle liberalizzazioni. L’associazione (5.800 delle 120mila aziende del settore) presenta una piattaforma con 10 richieste al governo. E lo sciopero dei camion inizia alla vigilia dell’apertura al ministero dei Trasporti del tavolo sull’autotrasporto con le 13 sigle sindacali.
Sul piede di guerra anche i sindacati autonomi e di base dei ferrovieri, che proclamano lo sciopero di 24 ore, dalle 21 di giovedì 26. L’organizzazione Orsa vuole così protestare contro quello che viene considerato «un attacco al lavoro», cioè la cancellazione dell’obbligo di applicare il contratto nazionale di settore. La manovra Salva-Italia, secondo i sindacati di base, «riduce il potere d’acquisto dei salari attraverso l’aumento dell’Iva, dell’Irpef locale, dei ticket sanitari, delle accise sulla benzina». La protesta riguarda anche l’adozione dell’Ici sulla prima casa e la riforma delle pensioni. Quanto alle farmacie, non è bastato a calmare le acque il ripensamento del governo sui farmaci di fascia C. Federfarma annuncia la chiusura dei punti vendita «se il parlamento non modificherà il testo del decreto». Favorevole a nuove aperture pari ad un massimo del 10% del totale delle farmacie esistenti, la federazione rifiuta la prospettiva di un aumento dell’attuale numero fino a un massimo di 7mila esercizi in più.
Il 23 e 24 febbraio gli avvocati faranno i primi due dei sette giorni di sciopero proclamati. E sono pronti a fare un sit-in davanti al parlamento e a Palazzo Chigi. Al ministro della Giustizia Paola Severino, che si augura che «non si alzino muri contro il decreto» e prevalga la «ragionevolezza», il presidente del Consiglio nazionale forense Guido Alpa risponde che sono state adottate misure «punitive», senza un preventivo confronto. Gli altri giorni di sciopero sono previsti a marzo, in occasione del congresso straordinario del 9 e 10.
I benzinai stanno definendo un pacchetto di 10 giorni di sciopero, ma il fronte dei gestori è spaccato. La Figisc Confcommercio ha per prima minacciato una settimana di serrata, ma è pronta a revocarla, mentre Faib e Fegica per il momento confermano i loro 10 giorni di agitazione. Sarebbero da effettuare in pacchetti di tre giorni consecutivi al massimo, ma si attende di vedere il testo definitivo del decreto.
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