Democrazia dei badanti: colonizzati da tecnocrati

Altro che Unione dei popoli: oggi comandano professori e banchieri. Con la crisi gli eurocrati smentiscono se stessi: meglio affidarsi ai poteri forti che al voto

Democrazia dei badanti: colonizzati da tecnocrati

Chissà se don Camillo e Pep­pone hanno tutta questa voglia di arruolarsi nel par­tito dei «tecnici». A tirare in ballo il prete e il sindaco di Brescello non è un politicante qualunque, ma un signore che arriva dall’Europa,un commissario degli Affari Economi­ci, che arriva a Roma per dare soste­gno al governissimo di Mario Mon­ti. È lui, Olli Rehn, ammiratore di Guareschi, che evoca queste due maschere dell’Italia in bianco e ne­ro: «Don Camillo e Peppone avreb­bero sostenuto Monti». I due,il nero (di tonaca)e il rosso (di vino), si saranno guardati per un attimo con l’aria guardinga di chi sente l’Europa troppo lontana e avranno commentato: «Vabbè, appoggiamo pure questo Monti. Ma dov’è che si vota?».Altri tempi. Quel vecchio anarchico di Guare­schi, democristiano atipico, avreb­be senza dubbio sgamato l’ingan­no. Qui con la scusa della patria (ma quale patria, poi?) ci stanno commissariando e firmando l’au­t­ografo al buon Rehn lo guardereb­be fisso negli occhi. Solo per capire di che pesce si tratta. Perché una cosa è certa, il potere è sempre lo stesso, ma sta cambiando forma.

L’odore di questa crisi sa di aset­tico. La vedi ma non capisci bene del tutto cosa sia. Non ha lo stesso volto di quelle passate. Non è la grande depressione. Un tempo l’attenzione era tutta sulla mise­ria, come fare a creare lavoro, sala­ri, strappare gli ultimi dalla pover­tà. Ora perfino dal salumiere si par­la di spread. Questa crisi postmo­derna, vorace ma impalpabile, che ti strappa la pelle come un ne­mico invisibile, sta peraltro cam­biando la sensibilità politica del­l’Europa. Un po’ alla volta ci si ren­de conto che la tecnocrazia sia il male minore.I governi hanno pau­ra dell­a crisi e si affidano a un’auto­rità superiore, a un comitato di sag­gi, di economisti, di banchieri, di funzionari, di tecnici. Quella che doveva essere la grande federazio­ne dei popoli europei mette tra pa­rentesi i parlamenti e comincia a considerare il voto come una per­dita di tempo. Questo sentimento non vale solo per l’Italia, ma viene percepito in quasi tutti i Paesi Ue. Come definire questa cosa? La ri­sposta più immediata si può ruba­re da un blog, quello dell’Anarca. Il titolare si chiama Giampaolo Rossi e, va detto subito, è anche opinionista di Tempo , Padania e

Nota Politica.it e presidente di Rai Net. È lui che parla di «democrazia dei badanti».

Quella degli antichi era demo­crazia diretta, i moderni sono i pa­dri­della democrazia rappresenta­tiva, questa che l’Europa spaccia come emergenza non ha tempo per i parlamenti e probabilmente sarebbe piaciuta a Platone e alla sua società dei filosofi. Sono loro i badanti. Solo che non hanno la barba bianca, ma austeri abiti da banchieri e consimili. L’idea non dispiace neppure a un costituzio­nalista come Gustavo Zagrebel­sky, che davanti a Napolitano ieri ha riabilitato la tecnocrazia. «Di fronte a catastrofi» tecnologiche, ambientali, finanziarie, può acca­dere «che la politica nella sua ver­sione democratica o demagogica soccomba.

È allora possibile che la politica si autosospenda e lasci il posto ai sapienti per tempi brevi». Zagre­belsky vede una tecnocrazia preca­ria, a tempo determinato, solo che il potere ha uno spiccato spirito di conservazione, sai quando si inse­dia, non sai quando passa la ma­no.

Di solito una volta seduto è diffi­cile spostargli da sotto la poltrona.

La metamorfosi è evidente in tut­to il mondo occidentale. Il Finan­cial Times , registra sempre l’Anar­ca, afferma candidamente che in Europa la democrazia è «un lusso antiquato». E parla di rimozione chirurgica dei governi sotto attac­co dei mercati. Molti giornali euro­pei confermano che Berlusconi è stato deposto dal «gruppo di Fran­coforte », definito dal britannico The Spectator «cupola che fonda la gerachia Ue (Draghi, Barroso, La­garde) e il potere finanziario della Germania».È la vittoria delle élites burocratiche e finanziarie sulla de­mocrazia. L’assetto oligarchico servirebbe a rendere più operativi e veloci le decisioni che questa sta­gione richiede. Il guaio è che non è così. I tecnocrati sono perfino più lenti dei governi parlamentari.Co­sì l’Europa finisce per incartarsi su se stessa, fino ad apparire come l’aborto di un’utopia transaziona­le. Eppure l’ Economist scrive che tutto questo è necessario: «Le deci­si­oni non possono più essere lega­te ai tempi e alle questioni dei par­lamenti nazionali». L’ultima cosa che resta da capi­re è se questa fase sia passeggera o è un vero cambio culturale e politi­co.

L’Europa della moneta non sta funzionando, quella dei popoli ap­pare ancora molto lontana. Don Camillo e Peppone stanno bene dove stanno. Il guaio è che il desti­no europeo di questa «crisi allo spread» è nelle mani dei ragionier Filini, il miope collega di Fantozzi.

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