"La democrazia vendicherà mia mamma"

Studente a Oxford, non ha mai pianto. Al padre il ruolo di regista assistito con forte autorità da Sadfar Abbassi, il vero consigliere di Benazir, colui che ha raccolto quelle parole "lunga vita a Bhutto", che è come "il re è morto, viva il re", parole destinate ad alimentare ancora un po' di rabbia, se non di speranza. La dinastia è viva

Figurarsi se avrebbe lasciato la guida al marito una che morendo ha detto con le ultime forze: «Lunga vita a Bhutto». La nomina a erede politico di Azif Ali Zardari, sposato con matrimonio combinato secondo la tradizione, con il quale viveva da separata in casa da tre anni a Dubai, alternando la villa principesca dell'esilio con i viaggi a Washington, Parigi e Londra, era stata già decisa come una pura scelta di tempo e di opportunità, ed è stata confermata nelle proprietà di Naudero, a un duro tavolo di trattativa che doveva avere per risultato la continuazione della dinastia, e con essa del partito.
Il marito ha naturalmente obbedito, assistito con forte autorità da Sadfar Abbassi, il vero consigliere di Benazir, colui che ha raccolto quelle parole «lunga vita a Bhutto», che è come «il re è morto, viva il re», parole destinate a viaggiare nelle province del Pakistan, ad alimentare ancora un po' di rabbia, se non di speranza. La dinastia è viva.
Il figlio primogenito, Bilawal, vero erede. Ha la faccia dello studentino un po' viziato di Oxford, solo diciannove anni, in Inghilterra tornerà al più presto, e, come la sorella diciottenne e la più piccola quattordicenne, porterà da domani il cognome della madre. Ha pronunciato una sola frase: «Mia madre diceva che la migliore vendetta è la democrazia». Si farà, è il destino. Se ha pianto, non lo dà a vedere, in pubblico tutto è politica, è il Partito del popolo pakistano, una mescolanza originale di democrazia liberale e nazionalismo, di rispetto per la fede e disprezzo per il fanatismo estremista e di fiducia forte nell'Islam moderato, moderno, i militari nelle caserme e le donne a parità di diritti con gli uomini. Solo che questo i Bhutto da tre, ora quattro, generazioni, si provano a farlo in un Paese di violenti scontri etnici e religiosi nella zona di confine con l'Afghanistan e in Kashmir, con l'atomica, i militari golpisti, i servizi segreti che tramano, le basi talebane all'interno del territorio, la rete jihadista, che usiamo chiamare Al Qaida, pure radicato e con ottime frequentazioni. Solo che, pur di tornare e di provarsi per la terza volta a fare limpidamente il premier, Benazir Bhutto aveva accettato di collaborare con il suo nemico più attivo, il presidente con le stellette Pervez Musharraf, e in Pakistan per Costituzione un generale non può fare il presidente, se non per golpe. I Bhutto con le stellette non sono mai andati d'accordo. Ricchissimi proprietari terrieri, studi anglosassoni raffinati, insomma una grande dinastia al pari dei Nehru in India; il nonno, Sir Shah Nawaz Bhutto, fu protagonista del movimento indipendentista e fondò il Partito del popolo. Il padre, Zulfikar Ali, governò il Pakistan negli anni '70 e fu onesto e modernizzatore, mai lo si vide in pubblico non vestito all'occidentale. Lo incontrò per una delle sue interviste Oriana Fallaci, la colpì e le piacque, quanto le suscitò disprezzo Zia Ul Haq, il generale che gli tolse il governo, prese il potere, e dopo due anni di isolamento lo fece impiccare.
Benazir era pure in galera, cinque anni di isolamento che la forgiarono almeno quanto gli studi rigorosi di politica ed economia a Harvard e Oxford. Vide il padre attraverso una grata, niente abbracci, solo la consegna di un libro biografia scritto di nascosto in carcere: «Mi hanno assassinato». Zulfikar fu impiccato a cinquant'anni, martire giovane quanto sua figlia meno di trent'anni dopo.
Le dinastie si amano, come il padre amò e predilesse Benazir, e si odiano. I due fratelli sono morti. Mustaza fuggì in Afghanistan dopo la morte di Zulfikar, dall'estero guidò la resistenza contro il regime militare e nel 1993, fu eletto deputato in esilio. Tre anni dopo, al ritorno in patria, fu ucciso a Karachi, quando la sorella era primo ministro. L'altro fratello, Shahnawaz, nel 1985, fu trovato morto con sospetto nel suo appartamento in Francia, a Cannes.

C'è una sorella, Sanam, che ha vissuto nell'ombra, c'è la vedova di un fratello che è diventata un'arcinemica, e ha una figlia, Fatima, combattiva e istericamente antiamericana, che aveva osato definire una farsa e un imbroglio il ritorno in patria della zia.
Della bellezza e del coraggio di Benazir Bhutto parlerà la storia. Morendo, come sapeva, non si è arresa.

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