Cerchiamo di dire le cose nella loro banale evidenza: se il problema del Sud si potesse risolvere con i quattrini pubblici, sarebbe stato risolto già da decenni. Il flusso di finanziamenti pubblici che sono arrivati nel nostro Mezzogiorno è stato immenso. È continuato anche con questo governo. Ma fino ad ora è stato poco risolutivo. Senza andare a ripercorrere la storia della Cassa del Mezzogiorno e dei suoi fallimentari investimenti, basterebbe vedere cosa è successo nel triennio 2005-2007.
Secondo un recente studio della Banca d’Italia sull’economia delle Regioni italiane, nel triennio la spesa pro capite per investimenti nei comuni del Sud è stata superiore a quella del Nord del 15 per cento. Possiamo metterla come ci pare, ma i numeri sono chiarissimi. Le sei regioni del Sud (esclusa la Sicilia, che ha uno statuto speciale) hanno visto una spesa in conto capitale di 358 euro per cittadino contro i 304 delle cinque regioni del Nord. È di tutta evidenza che le regioni del Sud sono state al tempo stesso anche le meno prodighe di raccolta tributaria. Sempre calcolando i dati pro-capite emerge un differenziale di cento euro di imposte in più pagate da cittadini del Nord. E siccome la finanza pubblica non si regge sulla creazione dei quattrini dal nulla, ciò che continua ad avvenire è un trasferimento di risorse dalle parti più ricche del Paese a quelle meno sviluppate. Nulla di male, per carità. Anzi, la crescita di un’area meno sviluppata, oltre che per motivi sociali, è auspicabile per la crescita economica dell’intero Paese. Un Sud più prospero, vuol dire un mercato interno più ricco, e soprattutto un serbatoio di innovazione, di imprenditorialità, di investimento tutto da sfruttare. Ma il punto è un altro.
Ciclicamente si ripropone la questione meridionale. Essa è completamente scollegata dall’andamento complessivo dell’economia. L’economia del Mezzogiorno si regge infatti su una presenza troppo ingombrante dello Stato dove non dovrebbe esserci (è il primo datore di lavoro al Sud) e troppo ridotta dove dovrebbe esserci (la sicurezza e l’istruzione). In una fase come l’attuale dove la crisi richiede un intervento dello Stato a fini assistenziali anche in zone precedentemente sane, le consuete lamentele del Sud si scontrano con una realtà difficile per tutti. Se di questione geografica si è parlato negli ultimi tempi, questa certo non ha riguardato il Sud. Il tema è stato piuttosto la questione settentrionale. Vaste aree del Paese hanno lamentato una scarsa attenzione romana verso nuove aree di sofferenza. In una sorta di riflesso pavloviano, la politica ha sempre avuto una certa indulgenza verso i flussi di trasferimenti pubblici verso il Sud, e una certa inerzia verso il Nord. Il governo Berlusconi, con la spazzatura di Napoli, i fondi straordinari per Catania, Palermo e Roma Capitale, con l’abbandono di Malpensa e con la sponsorizzazione dell’alta velocità Bari-Roma e del Ponte sullo Stretto, ha dato semmai l’impressione di trascurare la parte più produttiva dell’Italia, non certo il Mezzogiorno.
Ha fatto bene Silvio Berlusconi a ricordarlo ad alta voce ieri. Se un rilievo può oggi essere mosso al governo è quello di aver dimenticato l’alleggerimento fiscale che ha maggior peso per chi più paga (dunque per il Nord). Come dimostrano i conti della sanità pubblica (si tratta della voce di spesa più importante del nostro bilancio insieme alla previdenza) le Regioni del Sud non sono state messe all’angolo dalla riduzione degli stanziamenti, ma piuttosto dalla loro cronica incapacità di gestirli. Il ministro degli Affari regionali, Fitto, da presidente della Regione Puglia aveva iniziato una meritoria e impopolare riforma ospedaliera che avrebbe portato a grandi risparmi. Ha perso le elezioni. E il suo successore, Vendola, ha rimesso in piedi tutte le inefficienti e costose strutture che si sarebbero dovute tagliare.
È la sindrome del Sud. Un circuito vizioso che funziona più o meno così. Il politico locale spende più di quanto ha. Viene rieletto grazie a queste spese.
E al momento di pagare il conto ripropone la questione meridionale. Nel frattempo ai cittadini vengono ridotti i servizi, già di scarsa qualità. E Roma, per non rischiare di perdere consensi, copre i conti a piè di lista.Nicola Porro
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