Il desiderio? Per natura è senza regole

La cultura ci impone limiti e tabù, eppure la biologia ha lasciato la sua impronta

Il desiderio? Per natura è senza regole
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Se osserviamo la sessualità degli altri animali non troviamo tutte le paranoie della nostra specie, come dire: fanno sesso con chi vogliono e non se ne fanno grandi problemi. Basti vedere i nostri cugini più vicini e promiscui, i bonobo. Tuttavia c'è un dato biologico che si è trasferito in quello culturale umano (d'altra parte siamo animali anche noi), in quasi tutte le culture antiche: la femmina deve essere dedita alla procreazione, il maschio a diffondere il proprio seme in più femmine possibili. Bello? Brutto? Di sicuro è naturale, culturalmente parlando le cose non stanno più così, sebbene ce ne portiamo sempre dietro i retaggi.

A proposito: esaustivo, documentato e arguto il saggio di Valeria Arnaldi Per piacere breve storia del desiderio, appena uscito per Ultra (pagg. 288, euro 19,50). Dove si spazia nei millenni, nelle religioni, soprattutto nelle interdizioni per regolamentare il desiderio umano, e che userò da guida per un mio discorsetto sul tema. C'è sempre, guarda caso, un maschilismo di fondo, come c'è in natura, con qualche eccezione (tipo la mantide religiosa, che assomiglia molto a certe neo femministe: questo lo dico io, non la Arnaldi, ma anche loro non si sono rese conto di fare il gioco maschile con la loro sessuofobia?), perfino nella bisessuale Antica Grecia, dove «al dio veniva riconosciuto il diritto, anche all'abuso - quante le fanciulle sedotte da Zeus premiato con l'estasi, alle donne, dee incluse, veniva invece imposto il dovere di autotutelarsi».

Con le religioni monoteiste arrivano molti altri divieti: per l'Islam l'adultera merita la lapidazione, mentre al maschio spettano settantadue vergini in Paradiso (oh, la donna deve essere sempre vergine). «Tommaso D'Aquino è turbato dall'idea islamica di un paradiso in cui il sesso non solo è consentito ma è virtuoso» (ti vorrai mica divertire in paradiso?). Nel cristianesimo, d'altra parte, la prima peccatrice del desiderio è Eva (vuoi far peccare Adamo?), e viene bandita perfino la masturbazione che, ci ricorda Arnaldi, «anticamente aveva un suo dio, Priapo» (noi abbiamo Rocco Siffredi, dio degli onanisti o degli sfaticati come me), e già in epoca romana viene esaltata la verginità come valore femminile, mentre le deflorazioni sono medaglie per la virilità perché «i tabù imposti dalla società, la morale di ogni epoca, le regole mediche e i precetti della religione hanno definito in vario modo la storia del piacere».

Insomma, ovunque la donna vergine e fertile, ma il maschio virile e seminatore: andando indietro fin dove troviamo reperti il simbolismo è sempre quello, basti vedere le varie Veneri preistoriche (dalla Venere di Schelklingen, vecchia di quarantamila anni, alla Venere di Willendorf, dipinta in ocra rossa per richiamare l'idea della passione e del sangue mestruale, risalente a quarantaduemila anni fa). Viceversa, tanti falli da appendersi anche al collo, come il ciondolo rinvenuto nel sito di Tolbor, in Mongolia, lungo 4,3 centimetri, di carattere propiziatorio (non penso fosse in scala uno a uno, ma bisognerebbe saperne di più sui mongoli dell'epoca), come anche donne possedute da uomini-animali da falli spropositati, tipo il graffito rupestre della grotta di Fezzan, nel deserto del Sahara. Anche oggi, fateci caso? Quale «parolaccia» si ripete più spesso al giorno? Non ditemi che non lo sapete! Il fallo deve essere detto, ripetuto, infilato ovunque soprattutto nei discorsi, per mantenere il suo potere virile.

E che dire dello sconcerto suscitato nel 1860 dalle immagini rinvenute nel lupanare di Pompei? Un vero antico Pornhub, dove «il desiderio addomesticato ai dettami morali e sociali della modernità», scrive Valeria Arnaldi, «è arrossito davanti alla libertà dimenticata dei tempi remoti, scoprendo forse così di nutrire le medesime fantasie». Certo, a pensarci i divieti sono sempre serviti a alimentare i desideri, non per altro si parla sempre di «trasgressioni» anche nei circoli per casalinghe dalle cinquanta sfumature di grigio.

È anche per questo che parlare di sessualità naturale o culturale è un ginepraio, e oggi come oggi non conviene a nessuno: siamo una specie geneticamente poliginica, e citare la natura non conviene né a chi vuole la totale libertà sessuale né a chi vuole impedirla, piuttosto culturalmente dovremmo essere più liberi dalle catene imposte delle varie tradizioni,

ovviamente nel rispetto dell'altro, di chiunque non rechi danno agli altri. Cosa che in natura, nel sesso, non è contemplata. Ma come vediamo nel percorso documentato dal saggio di Valeria Arnaldi neppure nelle varie culture.

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