Dieci braccialetti ci costano undici milioni

Un braccialetto da un milione di euro. Braccialetto tempestato di diamanti modello-Ivana Trump? No, semplice braccialetto elettronico modello-detenuto. Il flop dei braccialetti elettronici che avrebbero dovuto «svuotare le carceri» rendendo «più agile» il nostro sistema penitenziario risale al 2001 e porta la firma di due illustri membri dell’allora governo Amato: l’ex ministro dell’Interno, Enzo Bianco, e l’ex Guardasigilli, Piero Fassino. Furono loro infatti a firmare con la Telecom un’«esclusiva» che ancora oggi, a otto anni di distanza, costa ai contribuenti italiani la bellezza di 11 milioni di euro all’anno. I numeri sono da beffa: i braccialetti elettronici anti-evasione attualmente operativi sono infatti solo 10 e ci costano più di un milione di euro ciascuno. I conti li ha fatti MF, il quotidiano dei mercati finanziari secondo il quale «lo Stato spende 11 milioni di euro all’anno per applicare i braccialetti a una decina di detenuti agli arresti domiciliari». Una cifra enorme, uno spreco assurdo. Il motivo? «Dei 400 dispositivi elettronici che il Viminale ha noleggiato dalla Telecom fino al 2001, soltanto 11 sarebbero utilizzati, il resto è sotto chiave in una stanza blindata del ministero».
La denuncia arriva da Donato Capece, segretario del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria): «Questi costosissimi aggeggi elettronici si sono dimostrati inefficaci, la loro tecnologia è ormai obsoleta e sono stati già parecchi i casi di evasione».
Ma a questo punto non sarebbe stato logico rompere il contratto con la Telecom, risparmiando così un mucchio di soldi? «Purtroppo - spiega Capece -, il contratto firmato nel 2001 contempla una clausola che obbliga lo Stato a pagare la Telecom fino al 2011; solo dopo questo termine si potrà sciogliere l’“esclusiva“, scegliendo eventualmente di rivolgersi ad un altro operatore in grado di gestire - magari con prezzi più modici - la tecnologia di braccialetti elettronici di nuova generazione».
La Telecom, al momento, è in grado di monitorare grazie a una sala di controllo centralizzata 309 centraline su tutto il territorio nazionale collegate alle questure, ai comandi provinciali della finanza e dei carabinieri. Uno spiegamento tecnologico assolutamente sovradimensionato rispetto alla manciata di detenuti ai domiciliari cui è stato effettivamente applicato il braccialetto: detenuti ai quali è bastato staccare il marchingegno farlocco dalla caviglia o dal polso per rendersi irreperibili. Insomma, lo Stato paga fior di milioni per rendere il più possibile agevole l’evasione dei criminali.
Perplessità anche dall’Osapp, l’altra organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria: «Per il braccialetto servono almeno 4mila agenti, uno per ogni detenuto controllato -, avverte il segretario nazionale Leo Benedici -. Si tratta di uno strumento costoso che nel corso degli anni ha mostrato gravi problemi di applicazione e prevede un domicilio certo e una casa presso cui montare l’apparecchiatura che rimanda il segnale dal congegno indossato».
Alla buon’ora il Viminale sta prendendo le contromisure e dal ministero degli Interni fanno sapere che la «convenzione con la Telecom è in via di sospensione alla luce della nuova formulazione del progetto relativo all’utilizzo dei braccialetti elettronici».
E dire che solo l’anno scorso tutti giuravano sulla funzionalità dell’esperimento: un gioiello hi-tech simile a un orologio da caviglia, anziché da polso. Un semplice «collarino» indossato all’estremità della gamba e dotato di un trasmettitore in collegamento con la centralina della polizia per tenere sotto controllo i detenuti ammessi alle misure alternative al carcere. Il ministro della Giustizia Alfano e il capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta sprizzavano ottimismo: «Grazie al braccialetto risolveremo i problemi più pressanti di sovraffollamento delle carceri, consentendo di non perdere mai di vista i circa 4.100 detenuti italiani che hanno fino a due anni di pena da scontare e possono usufruire degli arresti domiciliari».
Negli stessi giorni lo stesso Alfano confermava l’intenzione di dare corso a un piano «svuota-carceri» che prevedeva, in particolare, l’espulsione di più di 3mila detenuti stranieri e il ricorso al braccialetto per gli oltre 4mila italiani. Poi tutto si è bloccato a causa dell’inaffidabilità di questi benedetti braccialetti. Ma il Guardasigilli non demorde e, ancora oggi, rilancia: «Il braccialetto elettronico può garantire una maggiore sicurezza delle nostre città».

E a chi, anche nell’ambito dello schieramento di centrodestra, come il ministro dell’Interno Roberto Maroni, avanza dubbi sull’efficacia dello strumento, Alfano replica con l’assicurazione che «verrà adottato solo una volta messo a punto con precisione il meccanismo dal punto di vista tecnico». Come dire, il braccialetto è tanto chic ma per ora accontentiamoci delle manette.

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