Il processo a Bruno Contrada, secondo loro, va rifatto. Perché è stato condannato, lui solo, sulla base delle accuse degli stessi pentiti che invece nel caso dei processi Andreotti e Carnevale sono stati ritenuti inattendibili; perché non ci sono prove; e perché ci sono delle contraddizioni nelle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e di alcuni testimoni, contraddizioni che non sono state messe nella giusta evidenza nelle sentenze che si sono succedute.
La difesa dell'ex funzionario del Sisde, attualmente agli arresti domiciliari per motivi di salute per scontare una condanna definitiva a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, ci riprova. E dopo il «no» ricevuto la prima volta a Caltanissetta presenta una nuova richiesta di revisione del processo, alla Corte d'appello di Catania visto che nella cittadina nissena a presiedere la Corte d'appello è il giudice Francesco Ingargiola, lo stesso presidente che nel '96, quando era presidente della V sezione penale del Tribunale di Palermo, condannò Contrada a dieci anni di reclusione.
I difensori dell'ex funzionario del Sisde, gli avvocati Giuseppe Lipera e Grazia Coco, hanno depositato due giorni fa alla cancelleria della Corte d'appello etnea la memoria difensiva. Cento pagine fitte - per chiedere la revisione o, in subordine, il differimento o la modifica della pena per motivi di salute - che ripropongono le ragioni della prima richiesta di revisione rigettata - la diversa valutazione delle dichiarazioni dei medesimi pentiti nel processo Contrada e nei dibattimenti a carico del senatore Andreotti e del giudice Carnevale - ma non solo. Dopo aver ricordato che la Cassazione a sezioni unite, a proposito della revisione, estende il concetto di «nuova prova» anche a prove già presenti nel dibattimento ma non valutate, gli avvocati Lipera e Volo entrano nel merito, esaminando le contraddizioni interne alle dichiarazioni del pentito Gaspare Mutolo. Quindi sviscerano un capitolo, quello del tentativo di depistaggio sulla presenza di Bruno Contrada, il 19 luglio del 1992, in via D'Amelio, subito dopo lo scoppio dell'autobomba che uccise il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Questa vicenda entra solo di striscio nel processo per concorso esterno in associazione mafiosa per il quale l'ex poliziotto sta scontando la condanna, ma è stata oggetto di un'altra indagine, della Procura di Caltanissetta. Un'indagine finita con un'archiviazione perché Contrada ha dimostrato che al momento della strage era in alto mare, in barca, insieme a alti funzionari di polizia e carabinieri che hanno confermato.
Attualmente Bruno Contrada, che compirà 78 anni a settembre, è agli arresti domiciliari per motivi di salute, nella sua casa di Palermo.
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