"Dio vorrebbe davvero che fosse vuoto. Ma esiste la libertà"

Lo studioso: "Gesù ci insegna che il Padre è sempre e solo buono. Dipende tutto da noi"

"Dio vorrebbe davvero che fosse vuoto. Ma esiste la libertà"

Franco Manzi, sacerdote ambrosiano e docente alla Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale e alla Facoltà di Teologia di Lugano, si è a lungo occupato dell'Aldilà e dell'Inferno. Un argomento centrale nel libro che ha scritto con Davide Bonazzoli e Pierangelo Sequeri, E la vita del mondo che verrà (Vita e pensiero, pagg. 272, euro 20; dal 12 luglio in libreria e già prenotabile sul sito www.vitaepensiero.it).

Come nasce l'Inferno?

«Nella cultura biblica, all'inizio c'è lo Sheol, che corrisponde all'Ade, gli Inferi del mondo greco, in cui il defunto è separato in maniera completa e definitiva dagli altri e da Dio. In questa prima fase, il Dio di Israele è il Dio dei vivi, non dei morti».

Poi?

«In una seconda fase sorge in Israele la speranza nella resurrezione corporea dalla morte. La data fondamentale è fra il 167 e il 164 a.C.: la rivolta dei Maccabei contro l'imperatore siriano Antioco IV Epifane, che voleva ellenizzare gli ebrei, diventa una rivolta per mantenersi fedeli alla legge di Dio. Da qui, la retribuzione divina viene vista come ultraterrena: dato che i martiri non hanno potuto ricevere alcun premio da vivi, verranno resuscitati da Dio per essere premiati o castigati. Ed ecco il Paradiso e l'Inferno».

E Gesù?

«Conferma questa concezione, anche se rivela un Dio che è sempre e solo buono. Per Gesù, Dio è l'Abbà, il padre buono: la concezione dell'Inferno viene reinterpretata in quest'ottica».

E oggi?

«Sicuramente da noi cristiani l'Inferno è affermato come esistente. Ma non perché Dio voglia terrorizzare i suoi figli per farli comportare bene, bensì perché Dio ha creato l'essere umano come libero. Possiamo dire che l'Inferno esiste, perché esiste la libertà umana».

Perché?

«L'amore di Dio esige, in quanto amore, che l'essere umano lo ami e lo ricambi liberamente. Dio non predestina nessuno all'Inferno: finirci è la conseguenza di una vita consapevolmente e deliberatamente lontana da Dio, dagli altri, dall'amore. Per questo la Chiesa difende l'esistenza dell'Inferno, in quanto possibilità reale, come un dogma».

Come dovremmo immaginarlo?

«Certe visioni delle punizioni infernali sono fantasiose, anche se radicate in passi della Bibbia: il fuoco, i forconi, i castighi fisici o psichici. Dobbiamo procedere per negazione rispetto al Paradiso: l'Inferno è la sofferenza atroce, eterna, del defunto che sussiste in uno stato di definitiva autoesclusione da Dio, dall'amore e dagli altri».

Chi c'è all'Inferno?

«Satana e gli altri demoni, secondo la rivelazione biblica. Quanto agli esseri umani, dobbiamo confessare che non lo sappiamo. La Chiesa non osa emettere sentenze definitive sulla sorte infernale di alcun peccatore, fosse perfino Nerone, Stalin o Hitler. Mai».

Che cosa significa?

«Significa che, se esiste un solo motivo valido per cui, dopo un Purgatorio prolungato e doloroso a causa dei crimini orrendi compiuti, un uomo possa essere perdonato da Cristo risorto, questo si saprà in occasione del giudizio finale: è in esso che si rivela la verità della persona stessa».

Perciò la tesi che «l'Inferno è vuoto»?

«Se il giudizio spetta solo a Dio, tutti devono riconoscere di non sapere chi ci sia o non ci sia, se l'Inferno sia pieno o sia vuoto. La vera domanda, da cristiano, è: che cosa faccio, io, per quella persona che vedo camminare lungo una strada contraria all'amore? Se sono cristiano devo aiutarla, pregare o sperare per lei: di qui la celebre frase di Von Balthasar, un po' bistrattata, sperare per tutti, ovvero come un padre o una madre spera per il figlio che intraprende vie sbagliate».

Perché bistrattata?

«Perché se è vero che non crediamo in un Dio buonista, è altrettanto vero che, in quanto cristiani, siamo chiamati a sperare che all'Inferno non vada nessuno; anche se so bene che è difficile sperare per dei criminali che hanno fatto del male alle persone che amiamo».

Nel libro le «parabole del giudizio» vengono distinte da quelle della «misericordia»: perché?

«Rimane una tensione insolubile in teologia, fra la misericordia infinita di Dio e l'Inferno: come fa Dio, somma bontà, a sopportare che uno solo dei suoi figli giaccia per l'eternità nella sofferenza più disperata, lontano da lui? La domanda resta insolubile, perché questo è il mestiere di Dio».

Che cosa vuol dire che la concezione dell'Inferno va reinterpretata nell'ottica della rivelazione di Gesù?

«Dobbiamo ritrovare la dimensione amorevole del giudizio divino. E dire che, durante il giudizio, alla luce dell'amore di Gesù, io vedo la verità di me stesso».

Quando accade?

«Durante il passaggio della morte, prima di giungere alle situazioni definitive dell'inferno o del paradiso. Lì ha inizio il supertempo del Purgatorio, che purifica. Poi la Chiesa parla anche di giudizio universale, alla fine dei tempi, perché, affinché il giudizio sul mio io sia esaustivo, bisogna poter vedere le conseguenze di tutte le mie relazioni, che si sveli tutta la verità del mio io».

E all'Inferno quando si finisce?

«Se, durante il mio giudizio individuale, non è apparso niente di buono né di perdonabile da parte di Gesù, perché io continuo a rifiutarne l'amore, allora si attua subito l'Inferno. Il punto è riscoprire una escatologia di Gesù, in relazione a quel volto sempre e solo buono di Dio che egli ci ha rivelato; altrimenti si vive un cristianesimo angosciato, non autentico, con un Dio che giudica implacabilmente quello che sei».

Che cosa comporta questa escatologia?

«Il

peso della nostra responsabilità. Grazie alla libertà l'essere umano può fare cose meravigliose, oppure diventare una belva più feroce di tutte le altre. Ma questo è il bello: Dio ha rischiato tutto, sulla nostra libertà».

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