La «discesa agli inferi» illustrata dalla Zasio

Francesca Amè

È un'idea di umanità quasi irriconoscibile quella che Michela Zasio, artista veneta che da anni vive e lavora a Roma, ha portato nel cuore di Milano. La pittrice la espone da domani al 24 settembre alla Fondazione Stelline in un'iniziativa patrocinata dal ministero per i Beni e le attività culturali, dalla Regione, dalla Provincia e dal Comune. Ancora una volta, lo spazio di via Magenta non volge lo sguardo altrove dall'arte contemporanea e propone al suo pubblico un nuovo appuntamento all'interno del ciclo «Arte Antologia». Anche questa mostra, curata dall'artista Pedro Cano, che di Michela Zasio è maestro oltre che estimatore sincero, non si sofferma su un'arte facile. La pittura di Michela Zasio, seppur nella maggior parte delle opere esposte è figurativa, in realtà si manifesta come un viaggio, una sorta di discesa agli inferi, della società contemporanea. «Umanità artificiale» è infatti il titolo della monografica dell'artista veneta: vi troverete opere di svariata natura, come quei manichini che sembrano sacchi senza vita ma che ricalcano la struttura del corpo umano, oppure quei busti chiusi in cinghie di cuoio e di acciaio che trasudano sofferenza.
Scrive Pedro Cano, nel testo che firma per il catalogo della mostra (Pegasus edizioni): «Il risultato del lavoro di Michela Zasio è di alta intensità e il colore in questa serie di lavori si è arricchito enormemente. Si parte dai toni grigiastri e cupi per arrivare a intensissime tinte rosse, verdi o blu, che evocano un misto tra il mondo fauve e la cultura della pop art. Credo che in questo momento il suo lavoro stia maturando e cercando immagini sempre più potenti e scarne. È qui l'importanza del suo percorso».
Hanno infatti colori brillanti, quasi acidi, i «reperti umani» che Michela Zasio mette sulla tela: ci sono oggetti di varie dimensione, spoglie, manichini senza vita. L'essere umano non è presente ma continuamente evocato in una realtà surreale che sovente pone lo spettatore dinnanzi a oggetti indecifrabili. Il tutto, in un difficile equilibrio tra il dramma (la denuncia di una condizione umana che non è più vita ma brandello di vita) e ironia (specie nell'uso del colore).
Alle Stelline va il merito di accogliere un'esposizione ben lontana dai circuiti commerciali e da un'arte modaiola: la pittura di Michela Zasio è tutta fatta di oggetti, molti dei quali di uso comune, riletti dal suo pennello come metafore dell'umana esistenza. Potrebbe esserci il rischio, in un tipo di rappresentazione come questa, di un vacuo estetismo, attento solo al particolare e alla forma.

L'artificio invece si trasforma in sostanza: sono i manichini, le loro cuciture rovinate, i brandelli tenuti insieme quasi per miracolo a descrivere in maniera originale il senso di un'umanità allo sbando, alla ricerca della propria identità. Al di là della normale apparenza e dell'artificio.

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