Per disegnare un angioletto la Sapienza sborsa 220mila euro

RomaC’è un angioletto cherubino che da un po’ di tempo compare su tutti i documenti ufficiale dell’Università La Sapienza. Si chiama «logotipo» ed è costato 183mila euro più Iva, come si legge dal bando di gara, cioè circa 220mila euro. Dopo sette secoli è stata cancellata dalle pergamene la Minerva e ora vola come simbolo ufficiale l’angelo ispirato all’immagine di Francesco Borromini nella cupola di Sant’Ivo alla Sapienza. Ma per quel prezzo non l’ha ridisegnato il Borromini, bensì un professore dell’università.
Il restyling delle carte intestate è partito nell’ateneo romano da un anno e mezzo e l’autore del nuovo marchio cherubinico, vincitore della gara d'appalto, è Antonio Romano, docente di art design e titolare della società Area.
Una spesa eccessiva? Un conflitto d’interessi? All’università rispondono «no» all’una e all’altra domanda: altro che timbrino, questo è un progetto di «nuova identità visiva», un lavoro corredato anche da un manuale «d’uso» dell’angelo, in cui viene spiegato lo sfondo cromatico su cui può essere riprodotto il cherubino e le dimensioni consigliate.
La curiosità si era scatenata già a inizio 2007, ma in questi giorni di polemiche sui tagli imposti alle università il caso del cherubino dorato disegnato dal professore (che però, va detto, ha inventato anche la farfalla della Rai) viene posto sul tavolo dagli studenti come esempio di soldi spesi come «sprechi o affarucci», dice addirittura il segretario Nazionale di Azione Universitaria, Giovanni Donzelli.
In poco tempo l’angioletto dalle grandi ali è stato già ricoperto da critiche studentesche e politiche. Un consigliere provinciale di Alleanza nazionale, Francesco Petrocchi, ha scritto in un'interrogazione che il cherubino, così come disegnato, ha preso le sembianze «di un diabolico caprone». C’è chi lo ha paragonato al Bafometto dei Templari e addirittura si è aperto un dibattito sull’identità dell’angelo che, avendo sei ali, sarebbe un serafino e non un cherubino.
Intervistato dal sito studenti.it, il professor Romano ha spiegato: «Ho sottoscritto un contratto triennale che prevede la progettazione, l’implementazione e l’assistenza. Per 3 anni saranno impegnate a mie spese 12 persone su questo progetto. Basta fare i conti per capire che probabilmente io da questa operazione non ci guadagnerò». Romano ha anche chiarito che un’omogeneità di simboli era necessaria alla Sapienza: «È come se un gruppo di amici che gioca a calcetto, pur vincendo vari tornei ed arrivando in serie A, continui a giocare con maglie diverse. Comprare una maglia uguale per tutti aiuta a cementare lo spirito di gruppo».
Il budget per disegnare il logotipo «è stato sottratto alla voce pubblicità per i prossimi 3 anni e si è ritenuto opportuno devolverlo al restyling del brand».
Non è un timbrino e non è un caprone, ma un «emblema», come si legge dal sito dell’università sotto la voce «identità visiva», costituito «da un ovale, di colore porpora, nel quale sono iscritti un cherubino, sovrastato da una fiammella, e la dicitura Studium Urbis, entrambi in colore oro». C’è anche la versione del cherubino in 3D, da utilizzare quando deve essere inserito «su un fondo fotografico o colore in quadrinomia». Il colore base del logotipo è il «rosso Sapienza».
Nel manuale on-line vengono indicate anche le misure minime dell’angelo: il cherubino non deve essere mai più basso di 9 millimetri e la base non deve andare sotto i 7,5. Ci sono anche esempi di sbagliato utilizzo dell’angioletto sotto la voce «errori da evitare».

Insomma, la rivoluzione dell’identità visiva da più di 200mila euro è grafica nel suo complesso e non riguarda solo il cherubino, una novità che appena partita piaceva già all’ex rettore, Renato Guarini (il successore è da un mese Luigi Frati). Il cambiamento del logo dopo sette secoli, a suo avviso, si è reso necessario «per riposizionare La Sapienza nel mondo della conoscenza, e per contribuire a farla tornare un traino per le università italiane».

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