I problemi etici posti dalla scienza devono essere risolti dalla stessa scienza, ha scritto il professor Giuseppe Remuzzi sul Corriere della Sera. In altre parole: nessuno, se non un tecnico, può valutare criticamente le nuove acquisizioni scientifiche e stabilire se accettarle o rifiutarle. In parole ancora più chiare: i tecnoscienziati stanno lavorando per voi, affidatevi a loro e non disturbate il manovratore. Certo, è molto più facile lavorare senza verifiche e limitazioni da parte della politica e dell'opinione pubblica, come avviene in Paesi con scarso livello di democrazia e trasparenza. Lavorare per esempio in Cina, o anche in Corea, dove il veterinario Woo-Suk Hwang ha potuto contare su centinaia di ovociti estorti alle sue assistenti, con un inedito tipo di molestie a scopi di ricerca. Si tratta dello stesso fantasioso personaggio che ha ipnotizzato la comunità scientifica mondiale con dati fasulli sulla clonazione terapeutica (mai realizzata finora in nessun laboratorio del mondo), pubblicandoli su riviste autorevoli come Science e Nature.
La crescente insofferenza degli scienziati nei confronti delle normali procedure di controllo democratico è un fenomeno preoccupante. Abbiamo già visto, nella nostra storia recente, cosa può accadere quando una casta potente si chiude nell'autoreferenzialità, e pretende di svincolarsi da ogni controllo esterno. L'abbiamo visto con la magistratura. Il referendum sulla responsabilità civile dei giudici, vinto nell'87 a furor di popolo, fu svuotato di effetti con stupefacente abilità, producendo una legge che ha garantito ai magistrati di non dover mai rispondere in solido dei propri errori. E dopo un decennio di logoranti conflitti tra una parte della magistratura e la politica, ci tocca registrare i ripensamenti di Leoluca Orlando, che ammette: «In passato abbiamo affidato una delega eccessiva alla magistratura, rimettendole il giudizio politico». Ricordate Tangentopoli, con le grandi testate che concordavano i titoli? Oggi il gioco è molto simile, solo che la selezione delle notizie e le pressioni vengono dalle lobby che vogliono denaro pubblico per la ricerca scientifica, e mani libere. Se è vero che gli scienziati «risolvono i problemi etici che loro stessi pongono», come si spiega il nuovo conflitto che si è aperto tra politica e tecnoscienza? Non si può ridurre la questione allo scontro tra oscurantisti e fautori del progresso scientifico, o alla vecchia distinzione tra laici e cattolici. In Inghilterra, il Paese europeo dove vige il massimo di deregulation in questo campo, il governo ha appena deciso di avocare a sé la decisione sulla creazione di embrioni ibridi uomo/animale, sottraendola all'apposita Authority. Negli Usa, solo l'ostinazione di George Bush nel bloccare i finanziamenti ha fatto sì che i laboratori cominciassero a prendere in considerazione l'ipotesi di cercare un modo «etico» per ottenere cellule staminali embrionali. I fatti dimostrano che se un esperimento si può tecnicamente fare, qualche scienziato, in qualche parte del mondo, cercherà di farlo, a prescindere da ogni giudizio etico, di utilità o di rischio.
La scoperta di cellule staminali assai simili a quelle degli embrioni, ma molto più semplici da padroneggiare (non producono tumori, per esempio) e più facili da ottenere (si trovano nel liquido amniotico e nella placenta) ha fatto arroccare molti scienziati su una linea difensiva. In realtà tra gli studiosi l'esistenza delle staminali amniotiche era nota da tempo, ma solo da poco la notizia è approdata sulla grande stampa. Il timore è che si riducano i fondi per la ricerca sulle staminali embrionali, una ricerca che ha alimentato illusioni ma non ha ancora prodotto un solo protocollo terapeutico. La soluzione è chiudere le porte alle verifiche, sostenendo che solo la scienza potrà decidere, un giorno, se abbandonare o no la ricerca sugli embrioni.
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