È maledettamente vero che molti misteri italiani sembrano costruiti, chissà come chissà da chi, per rimanere tenebrosi in eterno, per rinascere periodicamente dalle loro ombre. La vicenda nera di Andrea Ghira, uno dei massacratori del Circeo, non sfugge a questa sorte: pare, infine, che la morte che sarebbe avvenuta undici anni fa sia provata dal confronto fra le impronte digitali rilevate dalla polizia spagnola e quelle della polizia italiana, ma il modo e i tempi in cui il giallo sè risolto sembrano scelti per rinnovare sospetti e seminare dubbi. Adesso si aspetta, giustamente, la prova regina del Dna, cè sempre un altro tratto da percorrere fra le nebbie per approdare al porto della verità.
I tempi e i modi. Andrea Ghira riemerge fugacemente dal silenzio che ne ha coperto linfamia qualche mese fa, quando Angelo Izzo riesce, da falso detenuto modello, a rinnovare lorrore delle sue inclinazioni con un duplice omicidio. Dovè Andrea Ghira? Chi lo protegge? Domande rituali, date le circostanze, che però restano senza risposta. Ma qualche giorno fa, una settimana più o meno, Ghira riguadagna la ribalta della cronaca. Si sa oggi che sera aperta uninchiesta, ipotizzando che il latitante (dal 1975) trafficasse in droga con laiuto di altri complici. Filtrano notizie su controlli e intercettazioni disposti per verificare mosse e discorsi dei suoi familiari, sospettati di sostenerlo, finanziarlo, aiutarlo.
Ma le notizie pare non valgano nulla senza le immagini, il villaggio globale, il fluire ininterrotto dellelettronica mediatica esige facce da mostrare, profili su cui costruire storie agghiaccianti e, per certi versi, favolose. Ed ecco che la televisione dispensa limmagine clamorosa: la foto di un uomo barbuto, immortalato nel 1995 dai carabinieri nei pressi della casa di una prostituta. Narrano le cronache che il soggetto rimase «non identificato» fino al 1998, quando uno specialissimo programma computerizzato, valutando la distanza fra occhi e naso e rianalizzando una vecchia foto segnaletica del latitante, stabilisce che il tenebroso con la barba è proprio Andrea Ghira.
Restiamo atterriti. Comè possibile che un criminale come quello possa fuggire e poi tornare a Roma, e circolare liberamente e frequentare ragazze di piccola virtù? Cosa pensare? Inefficienze clamorose? Protezioni indebite?
Le trame della vita sono spesso più banali di quelle costruite dai dietrologi. Subito dopo la foto clamorosa, arriva lultima verità: Ghira sarebbe morto nel 94, per overdose, dopo aver prestato servizio in una bandera del Tercio, la legione straniera spagnola. Le impronte digitali prese dalla polizia spagnola confermerebbero che lex caporale del Tercio sepolto a Melilla, sarebbe proprio Andrea Ghira. E la foto? Uno sconosciuto fruitore di sesso a pagamento. E il computer col programma speciale che misura langolo delle sopracciglia? Unillusione tecnologica.
Di regola non crediamo ai «grandi vecchi» che spesso sono più piccoli di chi li teme, ma bisogna riconoscere che sulla fine di Ghira sempre che lesame del Dna confermi - le cose sono state condotte in modo da generare più dubbi di quelli che si vorrebbero sciogliere. E questo è avvenuto soprattutto perché lindagine, che avrebbe dovuto privilegiare il silenzio e lombra, è stata sufficientemente difesa dal virus della suggestione mediatica. Sembra che oggi non si possa far nulla senza la televisione e senza il clamore delle gazzette. Pare che non abbia senso intercettare le telefonate senza che le stesse finiscano sui giornali. Qualcuno probabilmente si difenderà sostenendo che la pressione dei mezzi dinformazione è servita per spingere chi sapeva a dire la verità. Ma è proprio così? E siamo sicuri che senza la drammatizzazione e lenfatizzazione dellinchiesta i parenti non avrebbero finito col dire comunque la verità?
Domande, domande. Quel che è certo è che tutto è stato fatto in modo tale da far sospettare che Andrea Ghira possa essere ancora vivo. Ai dietrologi il mistero è stato servito su un piatto dargento.
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