Cherubino, adolescente dalla precoce passione per il gentil sesso, per molti viene considerato una sorta di «giovane Don Giovanni». Ma se il paggio crescendo diventa dunque l'infaticabile conquistatore capace di riempire un intero «catalogo», l'adulto cosa sarebbe diventato da vecchio, se non fosse trascinato all'inferno? Facile: il Falstaff verdiano. Grasso e gonfio di cibo e di vino ma sempre a caccia di donne da sedurre. E soprattutto convinto, e non a torto, che il mondo giri attorno a lui. Esercizio letterario non del tutto inutile, visto che Robert Carsen, nella regia predisposta per la Scala, rovescia il finale facendo finire tutti i protagonisti tra le fiamme e ributtando sul proscenio un «empio» non punito e più beffardo nel suo trionfo. Produzione che potrà ancora essere ammirata il 16, 20, 23 e 28 dicembre e il 4, 8, 12, 14 gennaio.
Nelle Nozze di Figaro, Cherubino adolescente in fregola, tenta instancabile di sedurre prima Barbarina, poi Susanna entrando in conflitto nientemento che con il conte d'Almaviva che, gira e rigira, se lo ritrova sempre tra i piedi nel corso delle sue incursioni galanti con le servette del palazzo. E alla prima occasione, incurante del salto anagrafico e sociale, non esita e corteggiare anche la moglie del padrone, la dolce Rosina. Che difatti nel terzo capitolo della saga scritta da Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, si concederà e gli darà anche un figlio.
Un libertino a tutto tondo, innocente nella sua frenesia di conquista, che crescendo non può che assomigliare a Don Giovanni. Che fin dall'inizio prende il centro della scena, via via illuminando gli altri protagonisti. Che sarebbero infatti donna Anna e don Ottavio senza l'irruzione del seduttore nelle stanze della pudica signorina? Due eterni ed esangui fidanzati poco attenti al sesso. Il commendatore? Un vecchio barbogio, superbo e presuntuoso, sfida il cavaliere senza calcolare la differenza d'età che rende impari la lotta. E donna Elvira? Una tranquilla nobildonna di provincia, destinata a un buon, quanto anonimo, matrimonio con dei figli. E Leporello, Zerlina e Masetto? Un servo e due contadinotti che per il breve lasso di una commedia assurgono a livello dei signori, diventando persino alleati «au pair» di cotanta nobile schiatta. Don Giovanni coerente e coraggioso fino all'ultimo rimane fedele alla sua vita sregolata a finisce trascinato all'inferno dal Commendatore, «spegnendo» così le luci che hanno portato alla ribalta degli anonimi comprimari.
Ma Carsen, palesemente innamorato del personaggio, rovescia il finale, fa «risputare» don Giovanni all'inferno, dove invece precipita gli altri personaggi. E allora se fosse diventato vecchio, come sarebbe diventato? Il Falstaff verdiano. Con cui ha non pochi punti in comune a cominciare dalla «innocente» indecenza con cui attraversano la vita. Entrambi sono privi di cattiveria, di odio, di desiderio di sopraffare e umiliare gli altri. Vogliono semplicemente divertirsi, mangiare e bere bene (ricordiamoci i «bocconi da gigante e il barbaro appetito» di Don Giovanni) e sedurre qualche donna fino all'ultimo anelito di vita.
Dunque cosa sarebbe la spiritosa Alice e il suo geloso marito, se non fosse investita dal ciclone Falstaff? Una coppia senza più desideri. E la bella Meg Page? Una annoiata donna di provincia. Miss Quickly? Un'anonima pettegola inglese. Il dottor Caius? Un pedante letterato di paese. Bartolfo e Pistola? Due servitori beoni e sleali. Gli unici indifferenti alla prorompente personalità di Falstaff sembrano essere Nannetta e Fenton, troppo impegnati ad amoreggiare per accorgersi del resto del mondo. Anche se alla fine riescono a coronare il loro sogno solo perché finiscono nel grande calderone delle trappole tese a vecchio gaudente.
L'anziano sir John effettivamente viene preso in giro: prima finisce in un paniere e lanciato nel Tamigi, poi aggredito da spiritelli e folletti, gli abitanti di Windsor travestiti, sotto la quercia di Herne. Ma egli è capace di riprendersi prontamente e rovesciare il rapporto di forza: «Ogni sorta di gente dozzinale/Mi beffa e se ne gloria/ Pur, senza me, costor con tanta boria/Non avrebbero un briciol di sale/Son io che vi fa scaltri/L'arguzia mia crea l'arguzia degli altri». E ha ragione: tutti si sono coalizzati per burlare il vecchio Falstaff, ponendolo così al centro della loro attenzione, dei loro sforzi, delle loro astuzie in fondo alimentati dalla sua ingombrante, in tutti i sensi, figura. Senza di lui, non sarebbero nulla e per tenerlo a bada devono unirsi in una sorta di santa alleanza.
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