Don Giussani visto dalla Spagna

Fernando de Haro racconta la vita e le opere del sacerdote con un'ottica diversa

Don Giussani visto dalla Spagna
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Non è facile guardare don Giussani dalla Spagna verso Desio, forse perché gli italiani, ancor più i lombardi, figurarsi i milanesi sono abituati a sentirlo come parte della propria storia. Per non dire dei membri della Fraternità di Comunione e Liberazione, legati a don Giuss dal desiderio di proteggerlo oltre che di essere da lui protetti dal cielo.

Eppure lo sguardo di Fernando de Haro, 58 anni, che ha conosciuto don Luigi ad Avila, in Spagna, a una semplice cena, e che non è stato tra i suoi amici più stretti, ma lo ha seguito insieme al suo gruppo da vicino, arriva come una sfida necessaria per interrogarsi su come Giussani non appartenga a nessuno perché appartiene a tutti. Non solo in Spagna, anche se nella sua vicenda è un caso speciale.

Nel libro, che s'intitola Perché sono un uomo. Scene dalla vita di don Giussani (Àncora), si leggono frasi che punzecchiano il cuore: «Don Giussani trova più pace tra gli spagnoli che tra gli italiani. Gli spagnoli, pur non essendo insieme per un'attrattiva di temperamento, sono più capaci di amicizia. Apprezza soprattutto che alcuni di loro, con una solida formazione teologica, dopo aver fondato Nueva Tierra, fossero stati pronti ad aderire a qualcosa che veniva dall'Italia. Per questo propone a coloro che lo ascoltano di seguirli». È indubbio che fu don Giussani a scegliere Julian Carròn come suo successore alla guida di Cl e Fernando de Haro, parlando del suo libro, approfondisce le ragioni di questa sintonia con gli spagnoli: «Penso sia rimasto commosso dalla freschezza di Nuova Terra del quale facevo parte anch'io, un gruppetto senza alcun potere ecclesiastico o politico, e incantato da questi sacerdoti che avevano studiato tutta la teologia ed erano lì come bambini per imparare tutto di nuovo con lui . Tra di loro c'era anche uno studioso come Carròn».

Il libro è in forma di racconto giornalistico con flash back e ritorni al presente. Inizia e finisce con l'ultima parte della vita di don Giussani, il Parkinson diagnosticato all'inizio del 1992 e la morte che lui, sempre così allegro e nemico del moralismo, riuscì a trasformare in una provocazione. All'inizio la malattia «lo mortifica, limita la sua capacità di lavorare; ha bisogno di aiuto anche nei gesti più semplici». «Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell'uomo e il cuore dell'uomo mendicante di Cristo» aveva proclamato davanti a Giovanni Paolo II già molto malato e che aveva comunque voluto abbracciare don Giussani. Adesso anche per lui la parola è diventata carne. Fernando lo aveva conosciuto nel 1985 ad Avila, dopo alcune lezioni finirono «a cena in un posto schifoso e mangiammo un gazpacho orripilante, ricordo anche don Giussani in coda per questo cibo pessimo. Avevo 20 anni, gli parlai di un manifesto che avevo scritto e volle leggerlo e poi lo citò in una lezione. Aveva questa capacità di valorizzare tutto. Persino della cena immangiabile non ha detto nulla. Sentirlo parlare di Gesù e dei Vangeli come di una cosa che succede oggi, adesso, è stata una folgorazione».

Nelle pagine del volume, vari quadri ritraggono Luigino con il padre Beniamino, socialista e amante dell'opera, la madre Angelina, la sorella minore Livia, la piccola Brunilde. Con due amici Gigi ancora bambinetto ruba al fruttivendolo due castagne. Il castigo è nel delitto oltre che nel confronto con il padre: in quel momento Beniamino non pensa certo al furto delle pere compiuto da Sant'Agostino. Quando arriva a 10 anni, il suo maestro gli butta lì come battuta: «Giussani, perché non vai in seminario? Sicuro che ti fanno cardinale». Profezia superata dai fatti, almeno sul piano spirituale.

Commuovono questi affreschi di vita familiare, così come i tempi di Venegono, gli studi per il sacerdozio in quell'edificio imponente dedicato a San Pietro Martire, sul sottofondo della nostalgia di casa come una colonna sonora.

Conclude de Haro: «Secondo me sarebbe andato molto d'accordo con Francesco, per il fatto fondante che l'uomo e l'incontro di grazia vengono prima della morale e della dottrina».

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