Dove nasce la libertà

Le parole di Benedetto XVI hanno questo di straordinario, non si rivolgono solo alla fede ma anche alla ragione di chi le ascolta. Si consideri l'ultimo richiamo fatto agli islamici perché meditino sulle vicende di Chiesa e illuminismo, su come dagli scontri si sia poi passati a costruire una società più libera, in cui i valori della religione hanno comunque potuto essere affermati nella loro pienezza. Sarebbe stolto caricare il Pontefice di parole e pensieri non suoi: il suo appello alla ragione è sempre accompagnato da quello spirituale e di testimonianza alla pace e al dialogo.
Eppure i richiami alla storicità della formazione di una società libera (ma non per questo scristianizzata) in Occidente e alla lezione che questa vicenda può suggerire agli islamici, non possono non indurre a un riflessione politica più concreta. Una riflessione che, sensibile ma non limitata ai vincoli spirituali, vada oltre la testimonianza del dialogo, della pace, della serena convivenza. Per affermare la propria libertà tante nazioni e popoli europei sono insorti contro l'oppressione. E tra l'altro non sempre la Chiesa cattolica si è trovata dalla parte giusta.
Le odierne libere democrazie occidentali nascono nell'Olanda che si ribella al dominio spagnolo, nell'Inghilterra che difende il Parlamento contro un re traditore, dalle ribellione delle colonie americane alla corona inglese. Lì nascono le regole, le caratteristiche, le libertà delle società moderne. Non è male, anche sull'onda degli stimoli del Papa, ricordare questa realtà, specialmente di fronte ad affermazioni come quelle di Kofi Annan, per il quale è meglio una dittatura di una guerra civile. Peraltro questo pilatesco orientamento, tipico di Annan, non ha fatto sì che l'appoggio dell'Onu ai dittatori locali evitasse le stragi in Rwanda. O rispetto a posizioni come quelle espresse da James Baker, ex segretario di Stato con Bush padre e ora superconsulente della Casa Bianca per l'Irak, per il quale le ragioni della stabilizzazione superano quelle della democratizzazione in Medio Oriente.
È vero che gli orrori bellici vanno contenuti e quando è possibile eliminati, è vero che non bisogna augurarsi per l'Islam una guerra di cent'anni di conflitti interreligiosi come quelli che sconvolsero l'Europa nel Seicento, fondando però, nonostante la tragicità degli eventi, la nostra moderna libertà. Ma è anche vero che se negli anni Cinquanta avesse prevalso il cinismo dei neutralisti che dicevano «better red than dead» (meglio rossi che morti), oggi non solo l'Est ma anche l'Ovest europeo non sarebbero liberi. È bene impedire che esplodano i conflitti in Libano, in Palestina, in Irak. Sapendo però che compito delle democrazie occidentali è stare con nettezza e senza incertezze da «una parte», quella di Fouad Siniora a Beirut, di Abu Mazen in Palestina, del governo a Bagdad, quella degli islamici che scelgono di costruire una società libera.
In certi casi le terribili necessità della stabilizzazione vanno accettate. Anche con i nemici della libertà, con gli Stati terroristi di Siria e Iran, è inevitabile trattare. Ma sempre nella chiarezza, senza le ambiguità di cui fa ampio sfoggio Romano Prodi. Ed è vero - ribadiamo - che le guerre in generale e le guerre civili vanno evitate. Ma non a tutti i costi: oltre certi limiti il cinismo non è più neanche realistico.

E diventa più saggio chi si batte per quelle libertà che con tanta passione invoca lo stesso Papa Ratzinger. Anche nel ricordo di quegli olandesi, inglesi, coloni americani che combattendo hanno costruito le regole delle nostre società aperte.

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