Sospetti? Ritorsioni? Entrate a gamba tesa? Non è nello stile di Mario Draghi. Tanto più in un contesto economico delicato, in cui il consolidamento dei conti pubblici avrà «inevitabili effetti recessivi» da contrastare con riforme strutturali. «Siamo in una situazione molto grave», ammette Draghi, che ieri parlava davanti al Parlamento Ue in qualità di numero uno dell’autorità europea per i rischi sistemici. Da venerdì scorso, cioè da quando Standard&Poor’s ha messo a ferro e fuoco mezza Eurolandia cacciando l’Italia in serie B e macchiando il bollino blu finora immacolato della Francia, l’agenzia Usa è sotto il fuoco incrociato delle polemiche. Ma il presidente della Bce si tira fuori dalla mischia: «Non farò mai osservazioni sul rating in quanto tale. Tutte le agenzie hanno patito un danno di immagine e di reputazione durante questa crisi e la precedente. Ora molte cose sono cambiate in meglio».
Pur senza lanciare accuse, Draghi ha però ben presenti gli squilibri che spesso le agenzie di valutazione determinano sui mercati. Ecco quindi la necessità di «imparare a vivere senza le agenzie di rating» o quanto meno a non dipendere «al 100% dai rating». Ridimensionarne insomma il loro potere? Già, ma come? Con un aumento della concorrenza nel settore, che al momento non esiste. Se devono esserci più licenze per i taxi, perché il mondo del rating dev’essere immutabile nella configurazione dell’attuale triade S&P-Moody’s-Fitch, vista peraltro come il fumo negli occhi da un investitore di peso come la Cina? «Tutto quello che possiamo fare per accrescere la concorrenza è benvenuto».
Chiaro il riferimento alla creazione di un’agenzia di valutazione in salsa europea, ideale contrappeso allo strapotere dei Signori del rating a stelle e strisce. Anche perché un declassamento di massa come quello di venerdì scorso ha portato con sé un ulteriore effetto collaterale assai sgradevole: ieri, Standard&Poor’s ha deciso il downgrade del fondo salva-Stati Efsf, una mossa che si ripercuoterà sulle capacità del firewall anti-crisi di raccogliere fondi a condizioni molto vantaggiose. Anzi, Draghi individua ulteriori ripercussioni: il fondo «potrà prestare meno o il costo dei prestiti aumenterà, o ci dovrà essere un contributo maggiore da parte dei Paesi a tripla A». Nulla di buono, insomma.
Soprattutto in considerazione dell’attuale ciclo economico. «Quando il mio predecessore Jean Claude Trichet si è rivolto a questa commissione in ottobre, aveva detto che la crisi aveva raggiunto dimensioni sistemiche. Ora la situazione - spiega il presidente della Bce - è peggiorata ed è molto grave». Infatti, «negli ultimi mesi del 2011 la situazione di incertezza dei debiti sovrani e le prospettiva di crescita stagnante hanno portato a distorsioni gravi dell’economia reale».
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