Roberto Scafuri
da Roma
Fabio Mussi, il candidato che aspira al 30 per cento del partito, ride sotto i baffi. Massimo DAlema, il presidente di una maggioranza che punta a consolidarsi oltre l80 per cento, pure. «Era tempo che nessuno mi dava dello strutturalista, Massimo... Grazie», «Non cè di che». Da decenni gomito a gomito, alluniversità, nel partito, in Parlamento, Fabio e Massimo paiono persino divertirsi. Anche se «si corre sul filo del rasoio», il partito rischia di «essere raccolto con il cucchiaino» e leventualità di «campagne staliniste sulla scissione» porta Mussi a minacciare labbandono del congresso. «Ma poi tanto finiamo tutti nello stesso governo...», constata il sarcasmo dalemiano.
Strutturalismo contro storicismo, per farla un po complicata, come ai tempi della «Normale» di Pisa e dellallora sodalizio tra Mussi e DAlema. Dati della realtà alla mano, il primo (che alla «Normale» si laureò in filosofia), per il quale il socialismo è vivo qui e ora, e dal passato può ancora tessere il futuro, senza «allungare un brodo» imbevibile. Fuga dalla realtà, il secondo (che luniversità abbandonò), per il quale immaginare il progresso oggi non si può se non «allargando il campo del Pse», perché «in politica cè bisogno di rischio e fantasia».
Piero Fassino, al Consiglio nazionale che decide il quarto congresso Ds per la primavera, incarna ancora una volta la parte peggiore nella favola del Partito democratico. Il partito che non cè e che (forse) ci sarà grazie a un salto triplo: dal post-comunismo al post-democristianismo senza essersi mai fermati al semplice «socialismo». Parabola ardita, più che rischiosa. Ma questo passa il convento, e Fassino nella sua opera certosina pare rinfrancato dalla discesa in campo del presidente DAlema e del patto dunità con Veltroni. Così tenta di passare il guado senza essere disarcionato. Eppure «se cè qualcosa che non funziona è nel manico», avverte Peppino Caldarola, uno dei più restii al «Pd» fassiniano. «La somma di due culture deboli fanno un partito debole, il viagra in politica non esiste. Questo rischia di essere lultimo congresso, ma dovè lapprodo? Non supereremo il ponte Chiasso...».
Il treno «va fermato», dice anche Mussi. «Il Pd è un progetto senza credibilità, è un gravissimo errore laccanimento terapeutico», insiste Cesare Salvi. «Azzeriamo tutto e ripartiamo con altre forze», aggiunge Gavino Angius. Non si può essere tutto e niente, dentro il Pse e fuori, laici e cattolici, sciogliersi e non sciogliersi. Fassino e DAlema cercano di indorare la pillola, e finiscono per proporre un rallentamento generale dei lavori. Il segretario promette un «congresso senza astiosità, asprezze o cattiverie» e assicura (soprattutto alla terza mozione di Angius e Caldarola) che il percorso sarà ultraprudente: «Discutiamo per stare insieme e, se siamo daccordo sullidea di fare il Pd, vi propongo una transizione che non smarrisce la funzione e il ruolo del nostro partito...». Ma come si farà con limpossibile adesione del Pd al Pse? «Il rapporto con la famiglia socialista non è in discussione e continueremo a confrontarci con la Margherita, con pazienza...», dice Fassino. Ed è possibile abbandonare la laicità? «Non si tratta di sacrificare le ragioni della laicità sullaltare del Pd, ma dobbiamo essere consapevoli che nessuna alternativa è praticabile se il mondo cattolico volge il suo sguardo a destra». E se Ds e Margherita sono «una coppia sterile», come accusa Mussi, il segretario si vuol rovinare: «Deve esserci anche lo Sdi...».
Insomma, per dirla con DAlema: «Cè spazio per tutte le posizioni», «vogliamo il dialogo ma non accettiamo veti», «il Pse guarda al Pd non proprio come a unavanguardia nel mondo, ma almeno come un esperimento avanzato, e questo pesa...».
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