«Duke»: la fine dei Genesis e del prog-rock

Piccola storia di un successo discografico che ha chiuso un'epoca.

ROMA - La storia non procede mai per salti. Non si può affermare chiaramente che dopo il 1492 sia iniziata la modernità o che Roma sia finita nel 476 con la deposizione di Romolo Augustolo. Nella storia del rock, invece, ci sono anni e produzioni che segnano un confine, oltrepassato il quale inizia qualcosa di totalmente diverso rispetto a ciò che c'era prima. Un esempio chiaro sono «Be Here Now» e «Blur» che nel 1997 segnarono l'ultima pagina del Britpop.
Se si vuole trovare qualcosa di analogo per il rock progressivo che tanto contraddistinse la fine degli anni '60 e i '70 un album c'è e ha chiuso definitivamente con i Pink Floyd e con i Van der Graaf Generator e con i loro ottimi epigoni italiani come PFM e Area. Coincidenza vuole che l'ultima parola sia stata pronunciata all'inizio di un nuovo decennio dai Genesis. Quei Genesis che non erano più quelli di «Selling England by the pound» e che mai più avrebbero potuto esserlo.
L'album è il famosissimo «Duke» del 1980. E raccontarlo ha un senso perché non si tratta di una storia triste bensì di un album di successo che consacrò il trio britannico anche negli Stati Uniti. Nato da una gestazione di due anni dall'ultimo «And then there we are three», prima produzione senza Steve Hackett, e preceduto da due lavori solisti di Banks e Rutherford e da un «disimpegno» sentimentale di Collins proteso nel fallimentare tentativo di salvare il suo primo matrimonio, «Duke» è veramente l'ultimo album progressivo.
Infatti come molte opere del genere nasce come concept album, ossia le singole tracce sono episodi di una storia. In questo caso si parla del rapporto di un uomo e di una donna, Duke e Duchess («duca» e «duchessa»). Dunque, non c'è nessun simbolismo ma si racconta una semplice storia, analogamente al tentativo di opera rock che nel 1979 era stato rappresentato in «The Wall» dei Pink Floyd.
Dov'è il «progressive» di questo album? Nella prevalenza delle parti strumentali in alcuni brani come «Behind the lines», «Duchess», «Man of our times», «Cul-de-sac» e soprattutto in quella bella suite che si conclude con una breve parte cantata che è «Duke's Travel» che racconta il viaggio intrapreso da Phil Collins con la moglie l'anno precedente per cercare di recuperare il rapporto. È molto «progressive» la perfetta sovrapposizione delle tastiere di Banks con la chitarra di Rutherford, mentre nel lavoro svolto ai Polar Studio di Stoccolma (quelli degli Abba) Phil Collins ha tenuto a bada i virtuosismi alla batteria.
La vena creativa l'ha riversata in composizioni come «Misunderstanding» ed «Alone Tonight», preludio a quello che nel 1981 sarà il successo di «Face Value», suo primo lavoro da solista. E così con «Turn it on again» cala il sipario su un'epoca durata quindici anni. «Abacab» del 1981 è un album che può essere considerato quasi del tutto pop, sebbene di elevatissima qualità.
P.

S.: Alcune sonorità possono far venire alla mente gli album dei Pooh di quel periodo. È solo una coincidenza: la longeva band italiana ha il dna progressive, ma il «gene» è stato tenuto molto bene a bada dai produttori.

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