E chi fa satira sulla sinistra diventa «democristiano»

Luca e Paolo, due iene, a Sanremo hanno bestemmiato. Certe cose non fanno ridere, per definizione. Ipse dixit. Una cupola di semiologi è pronta a testimoniare che nel secondo libro della poetica di Aristotele, quello perduto, c’è scritto che le battute su Santoro sono il riso degli sciocchi. La bella satira è catatonica: guarda fissa Berlusconi. Non è colpa dei comici. È che certe deviazioni ti creano solo grane. Qualche volta ci pensano, in segreto fanno perfino le prove, uno di loro racconta che ha in cassaforte due o tre battute su Rosi Bindi e perfino un sermone di Saviano. Solo che stai lì, parli con i tuoi amici, con i colleghi, ti consulti con il tuo manager e tutti ti dicono la stessa cosa: ma chi te lo fa fare.
L’unico risultato è disgustare quelli che contano. Dario Fo ti cancella dalla gilda degli artisti e commedianti. Umberto Eco ti incendia con una bustina di minerva. Scalfari che non ride mai, neppure se fai lo scemo con il Cavaliere, ti liquida come pagliaccio e la vita è una cosa seria. Onestamente, come si fa a dire qualcosa di velenoso su Saviano? Passi immediatamente per camorrista. Sberleffi un magistrato? Lei non ha rispetto di Falcone e Borsellino. È inutile dire che non c’è nesso logico. Chi sorride dei giudici è un presunto mafioso. È così. È una legge quasi costituzionale. Tu fai una battuta sui capelli della Boccassini e sei mafia, il figlio di Ciancimino racconta che secondo il padre era una bella donna ed è subito antimafia.
Non ci si sporca le mani fino a questo punto. Meglio, molto meglio, restare su Berlusconi e divagare su Bondi, Gasparri e La Russa. Il giorno dopo ti mettono in cattedra, ti regalano una laurea e ti pagano per un corso sulla ragion comica in qualche ateneo a conduzione familiare. Ci vuole coraggio per andare controcorrente o una lettera autografa di Mauro Mazza. O tutte e due le cose. Bizzarri e Kessisoglu non sanno quello che fanno. La scena del giorno prima con Ti sputtanerò funzionava benissimo, dal morire dal ridere, ortodossa, con l’unico peccato di mettere Fini sullo stesso piano del Berlusca. Questa è satira. Poi la caduta sgraziata del giorno dopo. Quella pantomima volgare e qualunquista. Michele Santoro? «Sono quindici anni che ripete: e chissà se domani andremo ancora in onda». Saviano? «Il super pelatone che sa tutto lui. Dice o’ vero, ma ci mette un’eternità, un quarto d’ora di pausa tra una parola e l’altra». Tutte quelle storie sul fatto che non puoi fare satira sulla sinistra, ma solo su quell’altro. Mica fa ridere. È satira sulla satira, figuriamoci. Fortuna che arriva Benigni, uno che va a cena con Dante e quindi conosce Aristotele di persona. Il paese è piccolo, tra geni, vivi e morti, ci si conosce tutti.
Si consiglia a Luca e Paolo una veloce espiazione. Repubblica ha invocato il piccolo Dante: «Benigni salva show». Sui blog del Fatto sconcerto e indignazione: Il Dc style non muore mai.

Come L’Unità: Sanremo ha ritrovato la sua profonda natura di balena bianca del Bel Paese». Che guaio per le iene. La prossima volta ricordate: Berlusconi, si ride solo di Berlusconi. Un po’ di buona volontà, che diamine. Il copione in fondo è già scritto. Copiate e fatela finita.

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