Tripoli - «Morte a Sarkozy, morte a Sarkozy» urla in arabo, come un ossesso, il fan di Gheddafi. Gli attacchi aerei sulla Libia, fortemente voluti dal presidente francese, sono iniziati da poco e a Tripoli già si schierano gli «scudi umani». Un migliaio di sostenitori del colonnello ha organizzato un carosello di macchine attorno alla caserma di Bab al Azizya, la cittadella fortificata, al centro della capitale, dove vive Gheddafi. Dalla periferia siamo partiti con una colonna di civili «armati» delle foto del capo in divisa o in tenuta da beduino. L'avanguardia è composta da bambini. Sul braccio hanno tutti un drappo verde, da bravi pionieri di regime.
Quando arriviamo agli spalti della fortezza di Gheddafi, dove in tempi normali non puoi nemmeno fermarti, ci rendiamo conto che uno degli obiettivi primari dell'attacco alleato è invaso dai civili: «Siamo tutti scudi umani» gridano i più giovani sorridendo. I corpi speciali, stile marines, che difendono il bunker del capo, hanno incredibilmente aperto le porte carraie in acciaio per far entrare i sostenitori. Donne velate si mescolano a giovani con gli occhiali alla moda e ad intere famiglie con i bambini. La mossa è propagandistica, ma difficilmente i caccia occidentali bombarderanno Bab al Azizya, con questa massa di civili.
«Io amo Muammar Gheddafi» sostiene in inglese, Sohela Jamal, una bella ragazza di 19 anni. Nella tana del lupo è venuta con la mamma, la zia e i due fratellini. Slanciata, occhiali scuri e sottile velo nero sembra non avere dubbi: «Scudi umani? Sono pronta a dare la mia vita per difendere il nostro leader. L'idea è di rimanere tutta la notte, che bombardino pure».
L'epicentro della riuscita sceneggiata è lo scheletro in muratura della vecchia residenza di Gheddafi centrata dai raid americani del 1986. Attorno, con musica nazionalista a palla, slogan pro Gheddafi e cartelli antioccidentali si svolge la «festa» degli scudi umani. Poco più in là c'è la tenda da beduino dove Il Giornale ha intervistato in esclusiva il colonnello. Al calare del sole arriva pure la figlia, Aisha, bella e bionda, osannata dalla folla. Lo stesso Gheddafi dovrebbe tenere un discorso in mezzo agli scudi umani per rispondere all'attacco occidentale.
Altri civili disposti, a parole, ad immolarsi per difendere obiettivi strategici si sono riuniti attorno agli aeroporti internazionali del paese. A quello di Sebah, nel centro sud della Libia, la televisione di stato ha ripreso numerose donne e bambini. Nessuno però è andato ad incatenarsi ai cancelli dello scalo militare di Mitiga, sul lungomare di Tripoli, non molto distante dall'ambasciata italiana chiusa ed evacuata due giorni fa. L'aeroporto dovrebbe essere uno degli obiettivi che verranno colpiti nelle prossime ore.
Lungo la strada costiera che porta ad Est, verso Misurata, la terza città del paese contesa da ribelli e governativi, si susseguono i posti di blocco. Soldati di El Jis, l'esercito libico, si mescolano ai volontari della Guardia popolare. Salam Sayah è il più giovane, solo 18 anni e barbetta incolta. Imbraccia il kalashnikov e giura di voler sparare (inutilmente) al primo caccia che si presenti all'orizzonte: «Siamo pronti a combattere per servire la rivoluzione, salvare il nostro leader e garantire l'unità della Libia» spiega Mohammed Musa, 26 anni. Felpa grigia con cappuccio in testa, pelle nera come la pece e bandana verde fa parte dell'Armata Brancaleone di miliziani mobilitata da Gheddafi. L'ufficiale dell'esercito, che comanda il distaccamento, ha degli occhialini da intellettuale e spera «di non dover sparare un colpo. L'esercito ha dichiarato la tregua, ma se ci bombardano non possono certo far fuori 5 milioni di libici».
Proseguendo verso Al Qarabulli, dove partivano i barconi di clandestini per l'Italia, si nota qualche contraerea montata sui fuoristrada scoperti, che i soldati stanno mimetizzando meglio. Di fronte ad un mare splendido, blu e verde, abbiamo notato solo un carro pesante con le armi antiaeree rivolte verso il cielo. I governativi hanno creato nuove postazioni con i sacchetti di sabbia e lungo un tratto di costiera sono piazzati ostacoli anticarro. Un ingegnere volontario, che viene da Tripoli, sostiene di voler combattere perchè «fra i ribelli, come li chiamate voi, ci sono terroristi di Al Qaida egiziani, algerini, gente che si è addestrata in Afghanistan».
Occhiali da sole, barba incolta, uniforme da deserto, porta lo stesso turbante color sabbia del colonnello. Altri si coprono il volto per non venir riconosciuti, ma con armi leggere, bivaccati in tende verdi e polverose, hanno poche speranze contro le ondate dei caccia alleati.www.faustobiloslavo.eu
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