E i democratici Usa annegano nelle gaffes

E i democratici Usa annegano nelle gaffes

Quelli come Michael Moore sono brutti sporchi e cattivi. Nessun successo, nessuna somma di denaro potrà mai ripulirsi, o renderli paghi. Il loro modo di fare battaglia politica è uno solo: calunnia, demolizione, dietrologia, anche se si tratta di offendere tremila morti ammazzati innocenti. Ne conosciamo alcuni diffusi esemplari in Italia. Sono afflitti da un ego enorme e, incoraggiati come sono stati dal peggio dell’America liberal, minoranza risicata, credetemi, e dal peggio d’Europa, purtroppo una maggioranza o almeno una parte vistosa e virulenta, super esaltata da giornali e tv, parlano a ruota libera, pronunciando impunemente sciocchezze e infamità. Se questa volta non gli passa liscia è solo perché c’è la campagna elettorale, e il primo interessato a smentirlo è proprio il suo boss, e candidato democratico presidenziale, Barack Obama. Negli ultimi mesi Moore è diventato la sua Sabina Guzzanti e il suo Nanni Moretti. Lo rimprovera per stimolarlo a fare il cattivo, gli chiede conto di qualsiasi tradimento moderato, e Obama ne sta provando molti per accreditarsi seriamente ora che fare la rock star non basta più, propone vice presidenti impossibili, come Caroline Kennedy, che non era neanche stata informata, insomma capitana alla grande la schiera dei radicali che del vecchio McCain ha paura, e per questo sogna che l’uragano se lo porti via, come un incubo. «È la prova che Dio esiste» ha affermato Moore, mentre Gustav stava per abbattersi sulla costa della Louisiana costringendo i repubblicani a rinviare la convention.
Non è vero infatti che la popolarità del divo Obama sia alle stelle, anzi non è neanche in ripresa. Di solito dopo una convention il punteggio diventa estremamente favorevole, almeno per una settimana. Non è stato così, tra la sorpresa e il malessere dei fan, convinti all’inizio dell’estate dell’imbattibilità del candidato, e per il fastidio di Moore, che ha cominciato a straparlare dopo aver constatato quel che anche le pietre sanno, che per vincere ti devi spostare al centro.
Obama ha fatto delle capriole neanche tanto disinvolte su Irak e tempi del ritiro, su leggi per gli omosessuali e naturalmente sulla pena di morte. Ha scelto il candidato vice più tradizionale e di palazzo che c’è. Ha concluso la convention con un discorso pieno di ovvietà sul sol dell’avvenir, nel quale la vera differenza rimane solo lui, la sua pelle e la sua giovane età. Non è detto che siano di aiuto.
Così Moore, che sa che McCain c’è sempre stato, che è credibile in economia, dove è avanti di ben nove punti, che è un baluardo per il Paese nel caso di una crisi internazionale, si affida all’uragano, e spera che Dio lo perdoni.
Noi umani possiamo permetterci di non farlo, e lo consigliamo anche a Veltroni e agli altri della trasferta italica a Denver. Basta andare a riguardarsi il filmetto che realizzò il giovane Mike Wilson, e che si chiamava legittimamente «Michael Moore odia l’America». Wilson denuncia come l’uomo che ha attaccato l’establishment americano, il presidente Bush, e l’industria Usa, adesso si muove come una rockstar a bordo di un aereo privato, accompagnato da otto guardie del corpo. È inavvicinabile. Sostiene di essere figlio di una famiglia di proletari, ma non è vero, come scoperse anche la rivista New Yorker. Se non è andato al college è per una sua scelta, per asinaggine, insomma, e non perché non poteva permetterselo, come sostiene.


Proprio come accade a Moore nel suo primo film Roger and me, che per tutto il documentario cerca, inutilmente, di parlare con il presidente della General Motors, Roger Smith, anche Wilson non riesce mai nel suo film a incontrare il regista. Ieri gli americani lo hanno incontrato sugli schermi della Nbc, e lo hanno visto per quello che è.
Maria Giovanna Maglie

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