E ora il re del «Corriere» è nudo

Egidio Sterpa

L’endorsement del Corriere un vantaggio lo dà: c’è meno ambiguità. Tutto è solare ora che il re è nudo. Si potrebbe persino ringraziare il direttore Mieli, la cui capacità giornalistica e cultura non sono in discussione. Egli ha tolto il velo alle ipocrisie e ai contorsionismi dei vari grimpeur, taluni non migliori dei famosi furbetti del quartierino, entrati nella stanza dei bottoni di una tradizionale e gloriosa testata. Mi disse tempo fa un vecchio amico assai schietto, che ai vertici del Corriere c’è stato per qualche tempo: «Tanti padroni ormai in via Solferino, ma non è detto che assicurino più indipendenza». Qualcosa di vero c’è, come si vede. Certo, a un anziano corrierista come me, Mario Cervi, Gian Galeazzo Biazzi Vergani, non può piacere questo endorsement (a proposito, la traduzione dall’inglese non è solo approvazione ma anche girata) e scommetterei che non sarebbe piaciuta neanche a Indro, ma ormai è una faccenda da archiviare.
Vorrei invece spiegare la mia scelta del 9 aprile. Non sono uno yesman, come sanno i lettori che hanno avuto la pazienza di seguirmi in questi anni sul Giornale (ci sono dal 1974). Non di rado ho fatto stecca nel coro di centrodestra, pur non avendo tenerezze per la sinistra. Non mi è piaciuta la devoluzione, come non mi piacque del resto il falso federalismo del centrosinistra. Apertamente non poche volte, da queste colonne ma anche a voce, ho richiamato il Cavaliere alla necessità di stare più fermamente al timone della barca. Insomma, non mi sono mai prostrato sui tappeti di Arcore, e però la mia scelta non può essere quella del mio pur bravo collega che oggi dirige il Corriere. Tento di spiegare il perché. Sono un liberale, posizione e convinzione a cui sono arrivato per esperienze fatte, studi, riflessioni razionali. Gli avversari, quelli che non la pensano come me, non li considero nemici. Ho rispetto per le idee degli altri, anche se non le condivido, mi batto perché essi possano esprimerle. Affronto sempre i problemi col metodo del dubbio, come civilmente si deve fare, credo in un sistema politico che permetta l’alternanza di soggetti politici diversi al potere, vale a dire un sistema che garantisca il ricambio pacifico e frequente degli organi esecutivi. Confido nel controllo della governance (cioè di tutta l’amministrazione della res publica, dall’esecutivo al giudiziario) attraverso la divisione dei poteri. Non accetterei mai che siano limitati libertà di pensiero, di stampa, di riunione, che manchi la tutela ai gruppi di minoranza.
Ma come si fa a sostenere che queste condizioni sono mancate in questi ultimi cinque anni? Come accettare che Prodi dichiari un «disastro» il modo in cui è stato governato il Paese fino a oggi? Nell’asprezza dei giudizi prodiani c’è mancanza di equilibrio, ci sono astio e faziosità e questo dà da pensare, inquieta, preoccupa. Come preoccupano violenze e aggressioni, figlie di compiacenze evidenti come quelle avvenute ieri l’altro nel Corso Buenos Aires di Milano come taluni atteggiamenti sprezzanti di Umberto Eco, che persino Panebianco ha censurato sul Corriere.
La mia cultura, le mie convinzioni, la mia morale mi portano a oppormi alla scalata al potere di una coalizione eterogenea e disomogenea, che fa prevedere un governo tutt’altro che organico, disordinato e forse davvero disastroso a causa di una inevitabile conflittualità interna su principii e persino nella pratica amministrativa. Non avremmo un governo di centrosinistra ma di sinistra tout court, stretto tra i ricatti di forze che già ora pongono dure condizioni. Senza contare il collateralismo dichiarato della Cgil, sollecitato e accettato senza riserve da Prodi al recente congresso di Rimini.
A unire quest’armata disordinata del centrosinistra c’è una sola cosa: l’odio comune, irrazionale, illiberale e immorale per un uomo, Berlusconi. Non c’è una politica, non c’è un programma, non c’è una strategia.

Come si fa, dunque, a votare per assicurarne il successo? È istintivo, sta nell’uso della ragione, porsi in difesa. No, questa non è l’occasione per l’alternanza. Sarebbe troppo pericoloso per le nostre idee, le nostre libertà, per i valori che fanno parte della nostra educazione e della nostra civiltà.

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