E Prodi-Napoleone trionfò a Waterloo

Lo piglia a schiaffi pure Piero Sansonetti. No, dico: Piero Sansonetti. Bravo giornalista, simpatico barbudos, onesto militante dalla penna rossa: ebbene Piero Sansonetti si è preso il lusso di non pubblicare un articolo scritto apposta da Romano Prodi per il quotidiano Liberazione. Lui e il direttore del manifesto hanno respinto al mittente la prestigiosa missiva partita da Palazzo Chigi e riservata ai quotidiani della sinistra radicale. «No pasaran», hanno gridato in coro. Sulle prime pagine hanno trovato posto per un po’ di tutto: una poesia sulla famiglia («la madre fa la maglia/il figlio fa la guerra/E il padre invece cosa fa?»), i debiti dell’università di Harvard, Emile Zola e un reportage sull’Osteria del Sordo di Parma. Solo per Prodi non c’era spazio.
Povero premier. Cassato da Sansonetti, costretto a divulgare via Internet una lettera in versione sado-maso («Sì, dai, scendete in piazza, protestate, fatelo ancora...») e a umiliarsi di fronte ai suoi elettori, bacchettato da ogni parte dopo le ultime sortite sul Gesù Cristo fiscalista, bocciato in religione per aver fatto confusione fra San Paolo e San Pietro, comunque senza più sapere a che santo votarsi, scende a salutare i giornalisti, all’ultima conferenza stampa prima di partire per le vacanze estive. E si loda e s’imbroda con un sorriso stiracchiato: «Non si poteva fare di più». Ma sicuro: non si poteva fare di più. Però era anche difficile fare di meno. O di peggio.
Lo diciamo perché nelle ultime ore sembra di cogliere in giro una certa arietta di prosopopea, del genere «scampato pericolo», con i tamburelli del regime che cercano di far passare l’idea di una chiusura trionfale della stagione estiva. La vulgata pissipissibaubau è: ce l’abbiamo fatta e dunque nulla più ci abbatterà. Tanto per dire: un importante quotidiano ieri titolava a tutta pagina: «Ora il Senato è l’arma del Prof». Il Senato: avete capito? Quello dove il Prof sta in piedi solo grazie al partito del catetere, l’aula che trasforma ogni voto in un brivido e ogni raffreddore alla Montalcini in un incubo per il governo: quella è diventata un’arma? Ma un’arma per cosa? Per l’harakiri?
Prodi che va in vacanza col ghigno del vincitore è uno sberleffo alla realtà. Come se Napoleone se ne andasse a sant’Elena cercando di raccontare ai pesci della sua grandissima vittoria di Waterloo. O come negli annali del calcio italiano si celebrasse come un trionfo la storica partita con la Corea. Trionfo sì, ma di pomodori. E il premier, in effetti, se li prende in faccia un po’ da tutti, mica solo da Sansonetti: il sindacato firma ma si spacca, la sinistra radicale vince ma scende in piazza, i centristi abbozzano ma si muovono sul sentiero di guerra. Se questa è una vittoria, beh, signori: allora anche a Caporetto non è andata tanto male.
Solo per restare all’ala sinistra della coalizione, basta prendere Liberazione e il manifesto di ieri. Anziché con la lettera di Prodi sono usciti a tutta pagina con una chiamata alle armi: «A ottobre in piazza», dicono perché «il governo così non va». Al premier viene fatta ogni sorta di accusa: dalle politiche sul lavoro ai diritti civili, dalla politica estera all’ambiente, passando persino (copyright Sansonetti) per l’accusa di cattiva educazione e «bulimia politica ed editoriale». E lui, Prodi, come risponde? Parla di «maggioranza coesa». Ma certo: la maggioranza è coesa, gli asini volano, in autostrada non ci sono code (la Salerno-Reggio Calabria? Fila via che una meraviglia), il mare è pulitissimo, le spiagge a buon mercato e dai rubinetti non esce solo acqua in abbondanza, ma volendo pure champagne. Non ci credete? Ve lo assicura il premier, dall’alto della sua maggioranza coesa e del governo che decide.

E se poi questa celestiale visione è solo frutto di un colpo di calore, si rimedia facilmente: arrivano le vacanze e Prodi potrà finalmente rinfrescarsi buttandosi nel mare. Prima che ce lo buttino definitivamente gli italiani.
Mario Giordano

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