E Santoro «appalta» le inchieste sui politici

Chi si aspettava un altro invito ad andare «a farsi fottere» in diretta tv, rivolto da Tizio a Caio in perfetto dolce stil nuovo dalemiano, sarà rimasto probabilmente deluso. Ieri sera non è fioccato nemmeno un «mascalzone» a carico del malcapitato Sempronio di turno.
No, perché nella penombra carceraria illividita dai neon dell’arena televisiva di Annozero (qualcosa a mezza via tra le segrete dello Spielberg e la discoteca romagnola), sono echeggiati al massimo dei colpi di fioretto. Niente di che, soltanto tintinnii. Insomma: affondo, parata, saluto... Il resto è stata unicamente cronaca. Oltre a un inatteso riconoscimento rivolto addirittura al Giornale e a Libero. Cose mai viste.
La puntata, intitolata L’Affare e dedicata almeno inizialmente alla vicenda che ruota attorno al mezzanino con vista Colosseo dell’ex ministro Claudio Scajola, ha visto confrontarsi, seduti sui gradoni del catino santoriano, i giornalisti Fabrizio Gatti (l’Espresso), Enrico Mentana, Lucia Annunziata e Maurizio Belpietro (direttore di Libero), oltre allo storico Franco Cardini e al regista Mario Monicelli. Partita da lì, la discussione si è però poi dilatata, su imbeccata del conduttore, per cercare di dare risposta al vero domandone: «Siamo di fronte a una nuova Tangentopoli?». E alla sua postilla: «Esiste in Italia una grande cricca che controlla affari e malaffari?».
Appaltando in buona parte il lavoro di ricostruzione giornalistica all’esterno (dei cronisti di Annozero si sono visti quasi soltanto ruzzoloni) attraverso le parole, i nomi e i numeri snocciolati dagli inchiestisti di Repubblica (Carlo Bonini), del Corriere della sera (Fiorenza Sarzanini), oltre che del già citato Gatti, il compitino di prima sera di Rai2 si è risolto così in buona misura in una rilettura di quella stagione di episodi sospetti, legati ad altrettanti appalti pubblici, che a dire dei più avrebbe preso il via con il Giubileo del 2000.
Dipanando da par suo, gigionescamente, quel fil rouge peraltro già ampiamente dipanato dai giornali e letto quindi da tutti in questi giorni - là dove si ritrovano i nomi del gentiluomo pontificio Angelo Balducci e del costruttore Diego Anemone, del sottosegretario Guido Bertolaso e dell’architetto Angelo Zampolini - Santoro ha condotto in porto una puntata soft, quasi vespiana, citando per merito giornalistico il lavoro d’inchiesta condotto senza remore da due giornali di centrodestra come il Giornale e Libero. Facendo rivendicare a Belpietro che a fare per davvero il lavoro dei giornalisti, la verità si può portare a galla. Reazione immediata e comprensibile al dubbio avanzato invece da Mentana: «Chi li poteva mai scoprire?»
Sorvolando sull’ormai inutile ironia di Travaglio, definitivamente incagliata su registri comici degni del Bagaglino, la trasmissione non è riuscita quindi per davvero a decollare, costringendo Santoro a ricorrere a uno spezzone tratto dal film che Sabina Guzzanti presenterà a Cannes. Qualcosa di ancora non visto da nessuno, ma comunque sicuramente qualcosa di immaginabile e prevedibile.

Dove la Guzzanti, nei panni di un Silvio Berlusconi con caschetto da cantiere in testa, nella notte dell’Aquila sinistrata, illustra che cosa è stato fatto dal governo dopo «il nostro terremoto». Forse qua e là ci potrebbe essere anche qualcosa da sorridere, ma proprio nulla di cui veramente ridere. Appunto, come il Bagaglino.

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