E Vittorini spense l’eros di Anaïs Nin

Nel 1949 lo scrittore, responsabile della collana mondadoriana «La Medusa», bocciò la pubblicazione del romanzo «Ladders to fire». Ora dagli archivi della casa editrice spunta la lettera che stroncò il libro

«Questa signora è letteratissima senza avere vera intelligenza e senza avere vero gusto. È una preziosa senza ingegno. Perciò una preziosa ridicola. Una che rifà semplicemente il verso». Queste parole scriveva Elio Vittorini nel 1949, quando negli uffici della Mondadori era chiamato a giudicare, nella sua veste di funzionario editoriale, il romanzo Ladders to fire di Anaïs Nin. Una reazione forte. Di un’ironia che si può definire spietata. D’altra parte Vittorini non era certo il tipo da seguire le mode, da omologarsi agli applausi degli altri.
Anaïs Nin, in quegli anni, era una moda. Una donna americana, negli anni in cui la letteratura d’oltreoceano compariva nelle maggiori collane degli editori italiani. Una donna che a Parigi aveva frequentato gli stessi ambienti dove, nel primo dopoguerra, la lost generation aveva trascinato la propria vita e intanto aveva prodotto i capolavori che conosciamo sulle disillusioni che l’America - e la vita - aveva riservato. Una donna che parlava di sesso. Senza veli. In modo provocatorio.
Era amica di Harry Miller e di Antonin Artaud e si interessava di psicanalisi. Per due anni aveva anche lavorato in America come assistente dello psicanalista Otto Rank. Anaïs era una donna che sentiva la vocazione della scrittura e che voleva il successo, ben determinata a farsi strada in un mondo ancora sostanzialmente maschilista. Il suo passato era turbolento: quando il padre si era allontanato dalla famiglia, lei aveva solo 11 anni e questo trauma l’aveva ferita profondamente, facendola accostare alle terapie analitiche prima di tutto come paziente. L’America era comunque parte della sua vita: vi giunse la prima volta a 14 anni, con la madre, in cerca di lavoro: dopo aver frequentato per alcuni anni la Grammar School di New York, intraprese la carriera di modella e di ballerina.
Il suo fascino era notevole e molti pensavano che il successo ottenuto con i suoi primi lavori (aveva esordito nel 1932 con un saggio critico su D.H. Lawrence) fosse dovuto o almeno fortemente sostenuto dalla sua capacità di piacere, prima di tutto come donna. Anaïs Nin, però, pur profondamente conscia della sua femminilità, era decisa a imporsi per il suo lavoro, per la sua capacità di scrivere. Da sempre, la scrittura era stata per lei una necessità: aveva iniziato a soli undici anni a tenere un diario che l’avrebbe poi accompagnata per decenni e che resta la sua opera maggiore. Dalle notazioni ricavabili dal diario sono inoltre decifrabili molti dei personaggi e degli eventi che compaiono nei racconti e nei romanzi, sempre nati da spunti autobiografici. Come pure sono riconoscibili le tematiche fondamentali, le ossessioni, in particolare il trauma dell’abbandono che ha segnato la sua esistenza e la sua produzione. Poi c’è il tema del sesso. Un tema trattato con un linguaggio spesso spinto all’eccesso, ai limiti della pornografia. In questo è evidente l’influsso di Henry Miller, che in quegli stessi anni faceva del tema erotico uno dei pilastri della sua narrazione. Con lui - e con la moglie June - la scrittrice aveva instaurato un trasgressivo rapporto intimo e intellettuale, raccontato nei Diari e pubblicato postumo nel volume Henry e June.
Ma per Anaïs il sesso era qualcosa in più: era una sfida, tutta femminile, nel voler affermare la propria individualità anche nei risvolti più intimi, morbosi. Lo scandalo, ma nello stesso tempo l’interesse sollevato dai suoi racconti (Il delta di Venere, ad esempio) fu immediato. Una donna intraprendente, colta, senza pudori che viveva l’erotismo come manifestazione del proprio io, di quella personalità tormentata che in altri testi veniva invece analizzata con il bisturi della psicoanalisi e con uno stile al limite della prosa poetica.
Ma quando i romanzi di Anaïs Nin arrivarono in Italia, in un’Italia moralista che si stava faticosamente risollevando dalla catastrofe della guerra, le reazioni furono contrastanti. Era l’Italia pronta per una scrittura tanto provocatoria? E poi: era vera arte, quella della Nin, o una facile via per il successo? Presso le maggiori case editrici si pubblicavano opere di Hemingway, Faulkner, Steinbek, Dos Passos. C’era spazio per questa giovane autrice così insolita e così apertamente controcorrente?
Vittorini si occupava della compilazione di «La Medusa», la più prestigiosa delle collane mondadoriane dedicate ad autori stranieri (e solo un testo della Nin entrerà nella collezione, La campana di vetro e altri racconti, nel 1951), ma tra le carte d’archivio conservate alla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori di Milano (vera manna per gli studiosi), sono presenti pareri di lettura relativi anche a Children of the albatross e a Laddres to fire, pubblicati in Italia solo in anni recenti dall’editore Fazi. Questi romanzi, che appartengono al ciclo Cities of interiors, hanno trovato ad esempio adesione da parte di Fernanda Pivano che dal suo punto di vista femminile coglieva novità nella scrittura della Nin. Al contrario, Ladders to fire ha provocato il giudizio duro di Vittorini che, una volta in più, dava prova della sua assoluta indipendenza di pensiero, del suo muoversi fuori dal gregge, del suo dire senza peli sulla lingua. Lo scrittore non si fa influenzare dal proprio amore per la produzione americana, e neppure dalla ricerca di novità per la «La medusa».
In verità - senza peraltro voler avanzare alcuna riserva nei confronti della critica vittoriniana - può sorgere anche un vago sospetto di maschilismo: una donna che parla di sesso? Che pone se stessa e la sua vita privata al centro della produzione letteraria? Che si presenta come ninfa Egeria di scrittori e intellettuali? Chissà.

In ogni modo, l’opinione di Vittorini è indubbiamente sincera. Dettata dal fastidio contro chiunque volesse cavalcare l’onda di un facile successo nel tentativo di affermarsi in un campo in cui la sincerità, l’umiltà e la necessità della scrittura sono le virtù essenziali.

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