La dimora più famosa è quella di Adolf Hitler: quindici stanze più servizi, seppelliti sotto il giardino della Cancelleria di Berlino a dodici metri di profondità. Duecento metri quadrati, arredamento un po' spartano, armadietti di lamiera e letti da campo. C'erano luci basse, aria umida e atmosfera cupa. Il Führer si suicidò in salotto. La tv non c'era ancora. La tv invece è entrata nel bunker di Muammar Gheddafi, Al Jazeera ma anche Mediaset, sotto una delle sue lussuose residenze, quella di Al Bayda, 200 chilometri da Bengasi, che i ribelli hanno preso in mano e ripulito persino dei sanitari del bagno. Un’incredibile rete di sotterranei e passaggi segreti, interrotti da pesanti porte blindate, una via di fuga che finisce in una piattaforma per elicotteri. Ma anche il necessario per viverci assediato non più di qualche mese, protetti da un sofisticato sistema elettronico, l’enorme piscina, la sauna, una Jacuzzi e il giardino con piante lussureggianti ai piani di sopra. Al Colonnello ora è rimasta Bab el Zizia, che è il quartiere della roccaforte dove si è asserragliato. Che è sempre meglio del buco, il «buco del ragno» dove i genieri della Quarta Divisione di Fanteria americana trovarono Saddam Hussein, un lavandino abitabile sigillato con due spalate. Pensare che il rais ne aveva uno, nome in codice 305, sulla riva sinistra del Tigri. Grande come un campo di calcio su due piani, 534 posti letto, centro di teletrasmissioni, area di decontaminazione, sala operatoria. Un tetto di cinque metri così solido da resistere a una temperatura di 300 gradi, farci rimbalzare un Cruise e trasformare la bomba di Hiroshima in una leggera vibrazione appena percepibile.
L'ultimo domicilio dei macellai della storia, dal Pol Pot a Gheddafi, non ha bisogno di Tore Bore per diventare grottesco. Ogni dittatore ha avuto il suo, lontano dalla realtà, sospeso nel tempo, inutile due volte su tre. E ognuno lo ha personalizzato a modo suo. Mobutu aveva un debole per i marmi rosa, Saddam per le poltrone rosse, Ceausescu per i rubinetti dorati. Pol Pot invece era ossessionato dall'arredo delle pareti che voleva tappezzate di foto delle sue vittime scattate subito dopo l'esecuzione. Gli piacevano i posti con vista mozzafiato. Per costruire questi castelli sotterranei non si è mai badato a spese. Milosevic attrezzò il suo con ascensori superveloci e linea metropolitana privata, Siad Barre ci parcheggiò il jet privato che sbucava all'improvviso dal nulla, tra le colline che circondano l'aeroporto di Mogadiscio.
In tutto questo spreco l'unico materiale di scarto è sempre stato l'uomo. Ceausescu fece costruire la ragnatela di cunicoli che collegavano i suoi palazzi da centinaia di prigionieri politici. Poi per conservare segrete le mappe li faceva eliminare, uno per uno, e seppellire direttamente sul posto. Nel bunker di Gamsakhurdia, i ribelli georgiani liberarono una quarantina di ostaggi, tra cui il vice ministro della Difesa. Erano stati tutti torturati, tra la veranda e l'angolo cottura. C'erano manette appese ai tubi dell'acqua, cavi per l'elettroshock nascosti dentro il comò. E decine di scheletri, soprattutto negli armadi.
Tra le rovine di Villa Somalia, ultima trincea di Siad Barre, trovarono invece centinaia di suppliche, invocazioni di grazia, richieste di pietà rimaste senza risposta «A Sua Eccellenza Siad Barre, chiedo la libertà per il poeta Abdullah Rage Traweh, imprigionato senza accuse da cinque anni...». Una casa vuota, ma piena di ombre. Enver Hoxha, incontentabile e paranoico, trasformò l'Albania tutta in un bunker personale da dove, in quarant'anni di potere, non uscì mai né per una parata, né per un viaggio.
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