Ecco i capolavori inediti di Céline. Storia di un furto finito in tribunale

Quando lo scrittore fuggì da Parigi, lasciò le sue carte in casa L'inquilino successivo le mise in una cassa e cercò di restituirle...

Ecco i capolavori inediti di Céline. Storia di un furto finito in tribunale

di Jacques Joset

Il 6 agosto 2021 scoppiò sul quotidiano Le Monde una bomba letteraria. Jérôme Dupuis vi pubblicò un articolo intitolato Migliaia di fogli inediti: i tesori ritrovati di Louis-Ferdinand Céline. Poco più di un anno prima, nel giugno 2020, i due eredi universali di Lucette Almansor (la vedova di Céline), l'avvocato François Gibault, autore peraltro della biografia di riferimento dello scrittore e Véronique Robert-Chovin, che aveva accompagnato Lucette negli ultimi anni della sua vita, vennero avvisati del fatto che un ex giornalista di Libération, Jean-Pierre Thibaudat, critico teatrale del quotidiano fino al 2006, desiderava incontrarli poiché era in possesso di inediti di Céline. Questa data non deve niente al caso: alcuni mesi prima, Lucette Almansor moriva l'8 novembre 2019 a Meudon, al 25 Ter di Route des Gardes, nella villetta in cui aveva vissuto con Céline dal settembre 1951 fino alla sua morte, avvenuta il 1° luglio 1961. Aveva 107 anni. Thibaudat aveva promesso al donatore di aspettare la scomparsa di Lucette per rivelare l'esistenza dei manoscritti. Il donatore stesso diede come spiegazione principale che «essendo di sinistra, non voleva arricchire la vedova dello scrittore». Thibaudat era figlio di partigiani molto noti, cosa che non è per niente casuale, come vedremo in seguito.

Venne quindi fissato un appuntamento dall'avvocato di Thibaudat, Emmanuel Pierrat. Gli aventi diritto chiesero un inventario dei manoscritti, 5324 fogli, circa un metro cubo, che fu comunicato loro il giorno dopo. Constatarono che corrispondevano a quelli che Céline dichiarava essergli stati rubati nel suo appartamento di rue Girardon 4 (Parigi, 18° arrondissement), nell'agosto del 1944, poco dopo la sua partenza per la Germania il 17 giugno per sfuggire all'epurazione e alla morte certa che l'aspettava per le accuse di collaborazionismo con le autorità tedesche e per i suoi scritti antisemiti. Abbandonò i suoi manoscritti sopra un armadio del suo appartamento sulla Butte di Montmartre. Ne seguì un groviglio giuridico: François Gibault brillante avvocato, darà mandato a un legale, Jérémie Assous, enfant terrible del tribunale di Parigi, di perorare la causa degli aventi diritto davanti a un altro avvocato specializzato in diritto editoriale. Dopo otto mesi di negoziazioni infruttuose e al termine di un'aspra battaglia giudiziaria, gli eredi di Lucette Almansor sporgono denuncia contro ignoti per ricettazione alla Procura della Repubblica di Parigi che ordina un'inchiesta. Convocato dai funzionari della Gendarmeria, Jean-Pierre Thibaudat consegna loro i manoscritti e la Procura della Repubblica ordina a sua volta che vengano messi nelle mani degli eredi di Lucette Destouches.

Dal 1944 fino alla sua morte, Céline non ha mai smesso di lamentarsi di questo «furto». Così nel primo romanzo della Trilogia tedesca, Da un castello all'altro (1957), con la sua abituale esagerazione, accusa i suoi «epuratori» (il termine è di Céline) di non avergli «lasciato niente non un fazzoletto, o sedia o manoscritto».

Le stesse lamentele si ritrovano nella sua corrispondenza, per esempio in questa lettera a Roger Nimier del 15 ottobre 1950: «Non crederete mica che Casse-pipe fosse solo questo preludio! Diamine c'erano 600 pagine! I miei Epuratori hanno gettato tutto riempito la Butte la parte centrale, il finale, la parte più bella, più sublime! mi resta solo l'immagine! L'Abelardo! Mutilato dell'opera sono! È terribile quello che stanno osando fare!» (Lettres, 50-105, p. 1361).

Un tuono squarcia l'estate del 2022, il 10 agosto, quando Thibaudat, in barba alla segretezza delle fonti e senza apparente motivo, rivela in un blog ospitato da Mediapart e in un libro pubblicato nell'ottobre 2022 (Louis-Ferdinand Céline, le trésor retrouvé) che il donatore, o meglio, la donatrice, era la figlia di Yvon Morandat (1913-1972), Caroline, scomparsa nel 1985. Yvon Morandat non era uno qualunque: partigiano della prima ora, delegato politico del Generale de Gaulle nella Francia Occupata, Compagnon de la Libération, si incontrava clandestinamente a casa di Robert Chamfleury, editore musicale e partigiano del quarto piano di via Girardon 4; Louis-Ferdinand Céline e sua moglie abitavano al quinto. Gollista di sinistra, Yvon Morandat venne nominato segretario di Stato del Ministro degli Affari sociali, incaricato dell'Impiego, nel quarto governo di Georges Pompidou (1967-1968) che succedette a Jacques Chirac.

Su consiglio della moglie di Chamfleury, i coniugi Morandat si stabiliscono nel settembre 1944 nell'appartamento di Céline, requisito dalle nuove autorità come ulteriore bene di collaboratori. Lo occuperà fino al 1946. «Arrivando», scrive Thibaudat, «Yvon Morandat ha sistemato tutti i manoscritti che ha trovato in un grande baule di legno e li ha messi nella cantina di via Girardon». Nel 1946, la coppia si trasferisce in un appartamento a Neuilly. Il baule li segue e finisce in una nuova cantina. È lì che Caroline Morandat lo ritroverà alla morte dei suoi genitori. Si capisce anche perché la figlia del partigiano si rivolse a Jean-Pierre Thibaudat, a sua volta figlio di partigiani, per affidargli il baule.

Yvon Morandat ha tentato subito di restituire i manoscritti a Céline, che in uno di quei furiosi slanci di ingiustizia e ingratitudine di cui era capace lo accusa nella sua corrispondenza di aver buttato i documenti nella spazzatura quando invece li aveva salvati. Ma non lo sapeva nel settembre 1947, quando scrive al giornalista Henri Poulain, collaborazionista e antisemita, poiché è solo nel dicembre 1950 che Morandat si mette in contatto con Pierre Monnier, un caro amico dello scrittore per restituirgli i manoscritti mentre era in esilio in Danimarca. Céline risponde a Morandat tramite Pierre Monnier in una lettera del 25 dicembre 1950: «Ringrazi Morandat, ma ha solo delle bozze, sono i manoscritti definitivi ad essere stati trafugati dagli epuratori a casa mia!».

Sappiamo adesso e Céline pure lo sapeva , che non è andata proprio così, in quanto se è vero che né Guerre né Londres sono testi definitivi ma prime «bozze», per riprendere il termine céliniano, in compenso il seguito di Casse-pipe è un testo definitivo.

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