Ecco le intercettazioni che coinvolgono il magistrato, la cui indagine è stata archiviata dalla Procura di Roma. Tra 15 giorni il verdetto di Palazzo Marescialli Le relazioni pericolose del pm antimafia Il Csm decide sul trasferimento del coordinatore de

Quelle battute di caccia con personaggi legati ai clan

Anna Maria Greco

da Roma

«Il Bimbo non sta bene. Non può muoversi». Non sono genitori apprensivi che si parlano, ma un imprenditore in odore di camorra e uno del suo giro. «Ma il Bimbo non è amico nostro?», dicono altri due. E quello che chiamano confidenzialmente e convenzionalmente «il Bimbo», nelle intercettazioni del 30 novembre 2004 e del 7 dicembre dello stesso anno, è il coordinatore della Dda di Napoli Paolo Mancuso.
Battute di caccia
Il procuratore aggiunto partenopeo è finito nei guai per il suo amore per la caccia, per le tante battute che da anni lo portavano a frequentare personaggi ben poco raccomandabili, soprattutto per chi indossa una toga antimafia. E per il sospetto di averli, in qualche modo, favoriti. Il soprannome, pare, nasce dal fatto che nella caccia alle quaglie Mancuso fosse un po’ inesperto, un «allievo» del maestro Antonio Maisto, che lo guidava nelle frequenti battute nella tenuta pugliese di Zapponeta, ospite di Stefano Marano, imprenditore edile di Melito legato al clan camorristico Di Lauro e sospettato di coprire la latitanza del boss.
Il procedimento giudiziario della Procura di Roma contro di lui si è chiuso a novembre 2005 con l’archiviazione, ma ora il magistrato è nel mirino del Csm che in questi giorni deve decidere se chiudere la procedura iniziata ad aprile scorso con il trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale e funzionale, «per fatti e comportamenti che hanno gravemente inciso sulla sua credibilità» e che minano il «prestigio dell’Ordine giudiziario». La prima commissione, però, è in una situazione di stallo, spaccata con tre contro tre, tra la possibilità di depositare le carte dell’istruttoria sul pm di Magistratura Democratica e quella di proseguire nelle indagini. Ma entro quindici giorni la pratica dovrebbe arrivare al plenum. Tutto comincia il 21 novembre, quando imperversa la faida di Scampia e per l’omicidio di Francesco Tortora i carabinieri interrogano il pregiudicato Andrea Spiezia, sospettato di essere coinvolto del fatto di sangue. Questo personaggio, definito dagli inquirenti «di rilevante spessore criminale», racconta di avere un alibi: è appena tornato da una battuta di caccia che ha organizzato in Albania, proprio con Mancuso e un funzionario di polizia (già indagato per mafia).
Intercettazioni
La prova dello stube, dice Spiezia, è inutile perché lui ha sparato sì, ma agli uccelli (però non ha il porto d’armi). Viene fuori, poi, che il pm antimafia frequenta spesso il costruttore Marano, sempre per attività venatorie e anche il criminale pugliese oggi in prigione Michele Antonio Romito, imputato per mafia, omicidio e altri gravi delitti, che avrebbe invitato ad una sua festa. E questi si sarebbe «prodigato per trovare una buona sistemazione» per Mancuso in occasione delle battute a Zapponeta e l’avrebbe anche portato a cacciare di frodo, secondo una telefonata del primo marzo 2004. Maisto, intercettato, riferisce a Mancuso di aver avuto guai con 13-14 «comparielli», intendendo le Guardie Forestali e parla di una carta proveniente da Foggia che, poi si saprà, riguarda un sequestro nella tenuta. «Hai visto il Bimbo che ha fatto? Ha fatto una “puliziata” di 50-60 pezzi», dice Maisto a Marano, riferendosi ad alcuni arresti a Secondigliano. A fine novembre Mancuso dice a Maisto: «So che Stefano (Marano, ndr) mi sta cercando, ma io a caccia non ci posso venire perché sto malato... Non mi chiamate più».
Incontri a casa
Da diverse intercettazioni emerge che il Bimbo-Mancuso, avendo saputo dei controlli, più che parlare a telefono, incontra a casa sua e in ufficio Marano, Maisto e Giovanni Pellecchia (dipendente e prestanome dell’imprenditore), che gli chiedono informazioni, consigli, anche interventi su certe «carte» che li riguardano e che lui definisce «una fesseria, non è niente, niente ancora». Tra di loro, gli intercettati si avvertono che in quel momento non si può parlare con Mancuso, «non è cosa» dice Pellecchia e si lamentano del fatto che il pm non possa «dimostrare la propria amicizia nei loro confronti». Agli inquirenti napoletani due personaggi dichiarano che «in determinate occasioni, Mancuso si sarebbe attivato per risolvere le vicende giudiziarie di Marano».

Scoppiato il caso, ai colleghi della procura di Napoli Mancuso dice di non sapere dei precedenti penali della combriccola ma, gli contesta il Csm, questo viene smentito dal fatto che si è direttamente occupato, come coordinatore della Dda, nel 1996 dell’«applicazione di misura di prevenzione nei confronti di Marano e Pellecchia per appartenenza a clan camorristico» e dell’arresto di Spiezia (poi condannato per mafia) e nel 2005 ancora si sarebbe interessato di un fascicolo su Pellecchia, accusato per truffa. Il quadro, per Mancuso, non sembra roseo.

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