Il ghiaccio è bollente in Antartide ma, per una volta, il surriscaldamento globale non c'entra. O meglio, non è più al primo post dei problemi. A fine settembre i satelliti dell'Esa, Agenzia spaziale europea, avevano evidenziato uno sfaldamento di due dei più grossi ghiacciai, il Pine Island e il Thwaites, con conseguente aumento del livello del mare. I modelli matematici sono noti: uno o due gradi in più innescherebbero un punto di non ritorno. Con 6 gradi in più di tepore, il mare si alzerebbe di due metri e mezzo. Quello che i satelliti non hanno visto, però, è una nuova sfida per il continente bianco: restare covid free anche nella breve, e pur gelida, estate antartica.
Agli antipodi va tutto al contrario e la bella stagione è arrivata da qualche settimana, col suo carico di dubbi e paure. Ad approdare sulla banchisa, nella baia di Terra Nova, vicino alla base Zucchelli, è stato anche un altro carico col primo equipaggio che ha il delicato compito di preparare (spalare) le piste di atterraggio per altri due voli passeggeri ed uno cargo che in queste ore si apprestano a trasportare scienziati per un'estate di esperimenti. Cape Town in Sudafrica, Christchurch in Nuova Zelanda, Hobart in Tasmania, Ushuaia e Punta Arenas in Sudamerica: sono queste le porte di ingresso al polo Sud, dove, fra quarantene preventive e training, regna un pizzico di ansia in più. Al polo Sud i soliti 80 gradi sottozero di media invernale hanno comportato 9 mesi di isolamento, ma hanno anche significato una gran fortuna: «Abbiamo vissuto in una bolla, la pandemia l'abbiamo vista via satellite, ma ora che i collegamenti riprendono, la priorità è anche proteggerci dal virus», spiegano dalla base statunitense Mc Murdo, sull'isola di Ross, gigantesca Elba di ghiaccio, dove, in questi mesi di solitudine, non è mancata l'ironia di una battuta: «Siamo ice-olated», isolati, salvati dal e nel ghiaccio. In questo anno di virus, mentre il mondo si è chiuso in un confino senza precedenti, l'Antartide ha fatto come sempre perché il suo lockdown arriva puntuale da maggio ad ottobre e, stavolta, la clausura laica dei circa 1020 coraggiosi umani che vi restano ha permesso all'Antartide di essere l'unico continente covid free. Chi resta è un winter stayers, a guardia delle 40 basi diffuse sulla calotta glaciale. Qui non esistono abitanti, solo ospiti, scienziati, con mille domande. Qui sopravvive solo chi cerca risposte e non ha grandi pretese: si vive male, infagottati, in pochi spazi comuni, cibo, carburante e comfort razionati. Lo spettacolo dei ghiacci, dei pinguini e di una notte senza fine, alternata a giorni abbacinanti e maestosi, alla fine, è un contrappasso più che sopportabile. L'inverno antartico poteva esser cosa difficile da comprendere per noi «terrestri».
«A parte il lavoro, davvero in remoto ironizzano questi prof sottozero - si vive spesso on line, il frigorifero si usa semmai per scaldare e scongelare il cibo, si cucina insieme, ci si organizza a turno per la ginnastica, si esce pochi minuti e super controllati». Con questo 2020 sesto e bisesto il virus ci ha resi tutti un po' più «antartici», fra meeting via zoom e webinar. Insomma «Ha da passà 'a nuttata» vale anche qui. L'Antartide è di tutti e di nessuno e di chi la saprà proteggere: questo l'accordo dei 30 Paesi che compongono il Council of Managers of National Antartic Programme. A queste latitudini la situazione era già chiara da febbraio: tutto è stato razionato a 3.200 tonnellate fra cibo e carburante. Ora però le derrate stanno terminando, l'isolamento deve finire, la scienza ripartire. Serve, soprattutto un cambio di uomini e di vite.
«In Antartide spiegano dalla base inglese di Rothera da sempre dobbiamo proteggerci da virus, batteri o dalla più semplice influenza, vivendo in un mondo chiuso e ristretto». La quarantena al primo starnuto è un comandamento; lavaggio mani, sanificazione e prudenza sono all'ordine del giorno. Se tutte le basi hanno un piccolo ospedale, più simile a un'infermeria, solo poche sono dotati di ventilatori, massimo due. Quando va bene. Così in alcune basi l'inverno ha portato anche a un capriccio di moda: qualcuno ha cominciato a fabbricare mascherine, mentre quando, a metà settembre, l'epica sfida a golf su ghiaccio, per festeggiare il primo raggio di sole della bella stagione, non è andata in scena, fra le basi vicine di Mc Murdo e la neozelandese Scott, è stato chiaro che non sarebbe stata una primavera qualunque. Ora, con venti gradi in più, ma sempre molto sottozero, la scelta non è fra vivere e rischiare.
Anche alla «nostra» base Concordia, dove italiani e francesi lavorano insieme, ai 3200 metri sul plateau antartico di Dome C, sono certi: «Arriveranno un terzo degli studiosi rispetto al solito, sia qui sia altrove», dopo aver incrementato standard di selezione del personale, sia fisici che psicologici. Oltre al virus, lontano deve restare anche il rischio, già alto, di depressione e nostalgia. Il timore è che arrivino anche meno soldi per la ricerca.
Molti programmi sono già stati accorciati: alla base Zucchelli, per esempio, è prevista una sola rotazione di scienziati che si concluderà non oltre fine gennaio. Altri progetti sono stati direttamente spostati al 2022. Congelati. E qui l'ironia è affilata come il ghiaccio.
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