Ecco il mio atto d’accusa contro «Repubblica»

In "Il mio agente Sasha" l’ex presidente della Mitrokhin attacca la «campagna di menzogne» del suo ex quotidiano Nel mirino anche i rapporti tra il Kgb e l’Italia: "I russi hanno screditato tutti i testimoni. Poi sono passati ai killer"

Ecco il mio atto d’accusa contro «Repubblica»

Domenica 26 novembre (2006, ndr) Repubblica sferrò il suo colpo più devastante con due interviste, a Alexander Litvinenko e alla «fonte» di Scaramella, Evgueni Limarev, contenenti una serie di notizie gravissime e false, secondo cui la Commissione Mitrokhin sarebbe stata una «fabbrica di dossier», una copertura per uffici fantasma frequentati da agenti dediti a un'attività delittuosa e, sopra tutti, io, l'ex presidente della Commissione Mitrokhin descritto come un criminale.

Il quotidiano romano di cui io stesso sono stato redattore capo e inviato speciale fino al 1990, afferma di aver intervistato Alexander Litvinenko il 3 marzo del 2005 (dunque quasi due anni prima, senza darne mai notizia). Come è ovvio, il Litvinenko di Repubblica parla e si comporta in maniera del tutto diversa dal vero Litvinenko che conosciamo bene e dice, con una personalità che non gli somiglia neanche alla lontana, tutto quel che gli si fa dire: e cioè che lui firmava documenti in italiano di cui non conosceva il significato e che Scaramella lo tormentava con petulanti domande sul sequestro Moro, i rapporti fra Prodi e il Kgb, quelli fra i Verdi e il Kgb e fra la società Olivetti e il Kgb. Il Litvinenko di Repubblica, così diverso dal vero che era morto tre giorni prima, racconta che Scaramella osò mettergli in mano qualche centinaio di euro che lui sdegnosamente rifiutò. In questo modo il quotidiano trasmetteva al suo pubblico alcune fabbricazioni fondamentali: Litvinenko, trattato da Scaramella come un fantoccio nelle mani del ventriloquo, firmava documenti in una lingua che non conosceva e il consulente della Commissione Mitrokhin tentava palesemente di corromperlo per fargli dire quel che faceva comodo a me. In quel che si è scritto su Repubblica si registrano alcune bizzarre stranezze.

Questo curioso Litvinenko, che avrebbe parlato senza registratore o videocamera, come invece sempre faceva nel corso delle interviste, avrebbe detto a Carlo Bonini: 1) che non aveva mai conosciuto Vasili Nikitich Mitrokhin, il che è notoriamente falso; 2) che era deluso perché in Italia, sul Giornale, era apparso il suo nome come collaboratore della Mitrokhin, anche questo dettaglio essendo falso, dal momento che una tale notizia fu stampata soltanto nel 2006 e non nel 2005 quando si dichiara che l'intervista fantasma sarebbe stata raccolta; 3) che «una donna trascriveva le mie dichiarazioni e le verbalizzava su dei fogli che, alla fine di ogni giornata di lavoro, mi veniva chiesto di firmare. Ora io non so che cosa ho firmato, perché il testo era in italiano e dunque non posso giurare che l'interprete non abbia fatto errori». Un'affermazione, questa, che fa a pugni con tutto il suo comportamento, vista la documentazione che ha sempre offerto a giornalisti e organismi statali. 4) Infine, che non avesse «mai sentito parlare di Prodi», il che è assolutamente falso come dimostra il video messo da me on line su www.paologuzzanti.it. Il che vuol dire che o Bonini & D'Avanzo non erano al corrente dell'esistenza del filmato, o che nemmeno sapevano della dichiarazione scritta da Litvinenko a mano in russo nel 2004. L'intervista è preceduta da una premessa del suo autore, Carlo Bonini, secondo cui il colloquio è «on the record». Ma in realtà non c'era nessun «record», come lo stesso Bonini ammise in uno scambio di e-mail con un giovane blogger di sinistra, Gabriele Paradisi, che chiederà anche a Oleg Gordievsky che cosa pensasse della sua intervista a Repubblica del giorno dopo.

(...) La seconda intervista di Repubblica del 26 novembre, la più micidiale, era una collezione di dichiarazioni attribuite a Evgueni Limarev, il collaboratore di Scaramella. Limarev da anni collaborava dietro compenso con Repubblica e in particolare con i due giornalisti che si erano dedicati a me. Fu lui a raccontarmi di essere la fonte principale di un reportage di Carlo Bonini e Giuseppe D'Avanzo su Putin uscito nel luglio del 2001 su Repubblica. Tutti gli sforzi fatti da Limarev per apparire critico nei confronti di Putin erano stati del resto soltanto una copertura per penetrare il circolo degli esuli russi a Londra, la cosiddetta «Mosca sul Tamigi». Ora si era ricostituita la vecchia squadra formata dai due giornalisti e da Evgueni Limarev, che avevano prodotto l'articolo intitolato Il grande pasticcio della Mitrokhin.

Nell'articolo del 26 novembre 2006 i giornalisti dicono di riferire quel che disse loro Limarev durante un loro incontro a Roma, il 21 e 22 febbraio 2005, cioè un anno e nove mesi prima, quando Limarev venne formalmente invitato per ordine e a spese della direzione. Questa circostanza mi è ben nota perché lo stesso Limarev volle dare a Mario Scaramella, il quale a sua volta ne dette a me una fotocopia, la lettera con cui «Fausta», della segreteria di redazione di Repubblica (che io conosco benissimo avendo lavorato a Repubblica per quattordici anni), avverte l'albergatore che avrebbe dovuto riservare per Limarev e sua moglie una camera matrimoniale, e che tutte le spese sarebbero state saldate da Repubblica.
(...) Il fatto che l'invito avallato dal direttore del giornale fosse fatto prima delle dichiarazioni di Limarev esclude che quell'incontro fosse in alcun modo casuale e occasionale e che quel che ne venne fuori fosse l'esito di quattro chiacchiere. In ogni caso, anche di questa intervista non esiste alcun «record», ma soltanto memoria orale e forse qualche appunto. Nell'articolo di Repubblica Limarev raccontava che Scaramella un giorno gli disse che era arrivato il momento di incontrare il «capo», e cioè me, a Napoli: «Avevo capito dal numero di telefonate quotidiane che si scambiavano - erano decine al giorno - che tra Scaramella e Guzzanti il rapporto era molto stretto, ma quando incontro Guzzanti, tra la fine di gennaio e i primi giorni di febbraio del 2004, capisco che il loro legame è strettissimo. Mario esegue gli ordini di Guzzanti. Condividono la stessa struttura legale, che però non è la stessa struttura legale della commissione. Mario mi spiega che lavora per la Enviromental crime prevention program (Ecpp)». Si tratta di un grumo di bugie. Io e Scaramella non ci telefonavamo affatto, io non mettevo piede a Napoli da anni, l'ufficietto non esisteva, non esistevano gli agenti, Limarev non mi vide affatto e inoltre sapeva talmente bene che cosa era la Ecpp da aver firmato un contratto con questa società per scrivere un libro che non scrisse mai. La spudoratezza di queste falsità si può spiegare soltanto con una granitica certezza di poter agire usando la disinformazione con prepotenza, impudenza e impunità assoluta.

(...) L'opinione pubblica ignorava e ignora tutto su questa storia e pensa, in buona fede, che la Commissione Mitrokhin abbia accusato Prodi di essere agente del Kgb, quando è vero il contrario: come suo presidente agii affinché un'accusa non provata non potesse circolare durante la campagna elettorale. La stessa campagna elettorale del 2006, persa da Berlusconi e vinta da Prodi per venticinquemila voti, prova inoltre che mai alcun cenno fu fatto della Commissione Mitrokhin e Prodi non ebbe il minimo fastidio da essa. Rileggere oggi gli scritti di quella montatura sarebbe istruttivo, come sarebbe istruttivo leggere e far leggere un libro di asciutti documenti e fatti come Periodista, dì la verdad di Gabriele Paradisi.
(...) Le interviste di Repubblica non reggevano ad alcuna verifica, ma riuscivano a imporre una versione dei fatti falsa, terribile e miserabile: un organismo del Parlamento della Repubblica di cui facevano parte anche diciotto parlamentari della sinistra comunista e post comunista o cattolica, ridotto a un covo di briganti, o all'anticamera di un tale covo. L'impatto dell'articolo sull'opinione pubblica, sul Parlamento, sulla politica e perfino sul partito politico cui appartenevo fu devastante e irreparabile. Nel centrodestra si assistette a un coraggioso fuggi-fuggi da cui si sottrassero soltanto pochi valorosi.

La parola d'ordine che passò velocemente di bocca in bocca era che io andavo considerato come un incosciente che si era circondato di avanzi di galera, compromettendo il partito di Berlusconi il quale, peraltro, non disse una sola parola in difesa della Commissione e si guardò sempre bene dal citarne i risul tati e i documenti, quando essi furono liberi.

Avvertivo la repulsione generale anche se soltanto dalla sinistra provenivano gli attacchi più aggressivi, che però si rafforzavano con una constatazione impeccabile: «Se neanche Berlusconi difende Guzzanti, se anche il suo partito lo abbandona, quale credibilità volete che abbiano le sue inchieste? Si tratta di un caso ai confini fra la psichiatria e l’«avventurismo».

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